La disgregazione del nucleo familiare condivisa da tutte le parti coinvolte nella vicenda fa venir meno il reato di maltrattamenti in famiglia; non basta, infatti, il vincolo di sangue a integrare il reato ma è necessaria una intensità dei rapporti di reciproca assistenza non solo economica ma anche morale ed affettiva

La Corte d’appello di Caltanissetta aveva condannato l’imputato alla pena di dieci mesi di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia, compiuto in danno della madre e delle due sorelle.

La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione. A detta della difesa la corte territoriale aveva errato nel qualificare il fatto contestato alla luce della fattispecie penale di cui all’art. 572 c.p., poiché difettava il legame familiare tra l’imputato e le persone offese, in quanto la nozione di famiglia rilevante agli effetti penali, presuppone un’unione di persone che per relazioni e consuetudini di vita siano legate da vincoli di reciproco rispetto e considerazione, senza che rilevi “l’astratto legame di sangue tra due o più soggetti”.

Quindi, censurava il mancato apprezzamento della circostanza che l’imputato non avesse da tempo rapporti di reciproco affetto e solidarietà con i suoi familiari.

La Corte di Cassazione (Sesta Sezione Penale, sentenza n. 8145/2020) ha accolto il ricorso perché fondato. Invero, dalla ricostruzione dei fatti era emerso che la corte d’appello di Caltanissetta avesse ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputato non facesse più parte del nucleo familiare di origine, evidenziando il fatto che dopo la separazione dalla propria moglie questi era ritornato a vivere nello stesso stabile in cui vivevano la propria madre e le due sorelle, sia pure in separate e distinte abitazioni.

Pertanto, anche se i rapporti con i predetti familiari si erano interrotti dopo il suo matrimonio, e sebbene non vi fossero neppure obblighi di reciproca assistenza economica, trattandosi di soggetti del tutto autonomi ed economicamente indipendenti, la corte di appello aveva ritenuto che il legame di sangue, unitamente alla frequentazione abituale e quotidiana dovuta alla necessaria condivisione delle parti comuni dell’edificio, costituissero il sostrato necessario e sufficiente a ritenere integrata la nozione di “famiglia” prevista dall’art. 572 c.p. come qualificazione delle vittime dei maltrattamenti.

Tale interpretazione non è stata accolta dai giudici Ermellini, essendo palesemente in contraddizione con la “ratio” incriminatrice del reato di maltrattamenti in famiglia, che ha come sua finalità quella di apprestare una maggiore tutela alle persona che oltre ad essere legate da vicoli di parentela siano anche uniti, per l’intensità dei rapporti di reciproca assistenza non solo economica ma anche morale ed affettiva, da una comunione di intenti e da un patto di solidarietà che costituisce il fondamento della nozione di famiglia.

La ratio della norma penale

È solo nel contesto dell’unione familiare che la reiterazione di condotte violente o più in genere di vessazioni, tanto fisiche che morali, assume una gravità maggiore per l’offesa che si arreca all’aspettativa di reciproco sostegno economico, morale ed affettivo, che ciascun familiare ripone sugli altri componenti del medesimo nucleo.

Nel caso di specie, la rottura condivisa di ogni legame e rapporto di reciproca assistenza morale ed affettiva, di assenza di obblighi giuridici di mantenimento economico, non poteva costituire un elemento irrilevante, come affermato dalla corte territoriale, perché incide sulla nozione stessa di famiglia che la norma penale tutela, venendo a mancare il presupposto dell’affectio familiaris che non si identifica con il vincolo di sangue, ma richiede come suo elemento essenziale la volontà comune di conservare un rapporto basato sulla solidarietà ed il sostegno reciproco.

La decisione

La disgregazione del nucleo familiare, avvenuta da lungo tempo, per decisione condivisa degli stessi familiari coinvolti nei fatti oggetto della vicenda in esame, era un dato pacifico, ingiustamente ritenuto irrilevante agli effetti della configurabilità del reato previsto dall’art. 572 c.p.

Pertanto, in difetto di tale elemento costitutivo (l’esistenza di una unione familiare) i fatti ascritti all’imputato, non integrando il reato contestato procedibile d’ufficio, sono stati riqualificati nei reati di minacce, lesioni personali e danneggiamento, procedibili a querela. E, non avendo i familiari dell’imputato sporto querela, la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio.

Avv. Sabrina Caporale

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