Negata la rendita per tecnopatia in quanto non era stato provato il nesso di causalità con l’attività lavorativa di saldatore

Nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 39118/2021 pronunciandosi sul ricorso di un cittadino che si era visto respingere la domanda proposta nei confronti dell’INAIL e volta a conseguire la rendita per tecnopatia (ipoacusia).

La Corte distrettuale – rinnovato l’incarico al consulente tecnico d’ufficio – aveva rilevato che il lavoratore, trattandosi di malattia professionale non tabellata (non essendo stata allegata alcuna “Valutazione a rischio di esposizione al rumore per i lavoratori”), non aveva provato, in termini di ragionevole certezza, il nesso di causalità tra malattia e attività lavorativa (saldatore), ritenuto che anche la perizia svolta dal consulente tecnico d’ufficio in grado di appello (che aveva specificamente replicato alle controdeduzioni svolte avverso la consulenza tecnica d’ufficio di primo grado) aveva sottolineato l’assenza di prova sull’entità e sulla durata dell’esposizione ad agenti patogeni durante il periodo lavorativo (essendo “fondamentale, per l’ipoacusia da trauma cronico, la ripetuta esposizione a rumori e/o vibrazioni per una adeguata durata giornaliera e per un periodo temporale in ambienti in cui si riscontra una rumorosità globale media tale da provocare un danno acustico”); inoltre, gli esami audiometrici svolti presentavano un deficit “pantonale” non compatibile con una eziologia “da rumore”; infine, emergeva la compatibilità della patologia sofferta con altri fattori eziologici (ipertensione, diabete, pregresso IAM).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente contestava alla Corte territoriale di avere erroneamente interpretato la deposizione del teste escusso, l’estratto conto previdenziale, la certificazione medica, il libretto di lavoro e le lettere datoriali che dimostravano inequivocabilmente lo svolgimento della mansione di saldatore. Inoltre, il Giudice di secondo grado avrebbe trascurato che l’inclusione della patologia tra le malattie tabellate risultava dalla copiosa e probante documentazione, svolgendo egli quelle mansioni tipiche (“martellatura, molatura, ribattitura di materiali metallici”) del saldatore.

Gli Ermellini, nel giudicare le doglianze inammissibili, hanno specificato che “in ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale”

La Corte territoriale, esclusa la ricorrenza di una patologia tabellata (in assenza di sufficienti elementi relativi alle concrete modalità di svolgimento dell’attività lavorativa di saldatore nonché di “Valutazione a rischio di esposizione al rumore per i lavoratori” da parte dei datori di lavoro del ricorrente, premesso che, nelle Tabelle INAIL, è previsto che è “fondamentale, per l’ipoacusia da trauma cronico, la ripetuta esposizione a rumori e/o vibrazioni per una adeguata durata giornaliera e per un periodo temporale in ambienti in cui si riscontra una rumorosità globale media tale da provocare un danno acustico”), aveva correttamente evidenziato che non vi erano elementi sufficienti per ritenere comunque sussistente un nesso di causalità tra patologia sofferta e attività lavorativa così come svolta dal lavoratore in quanto mancava la prova sull’entità e sulla durata dell’esposizione ad agenti patogeni e, inoltre, gli esami audiometrici svolti presentavano un deficit “pantonale” non compatibile con una eziologia “da rumore”.

La redazione giuridica

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