Accolto il ricorso della erede di un lavoratore morto per “adenocarcinoma in soggetto esposto ad asbesto” che si era vista respingere la domanda per il riconoscimento della rendita ai superstiti

Si era vista rigettare, in sede di merito, la domanda volta alla declaratoria del proprio diritto – in quanto erede di un lavoratore con mansioni di operatore di magazzino refrattari e ricevitore materiali, deceduto nel 2011 con diagnosi di “Adenocarcinoma polmonare in soggetto esposto ad asbesto” – a beneficiare della rendita ai superstiti ex art. 75 del Testo Unico n. 1124 del 1965, attesa la dipendenza della malattia polmonare contratta dal de cuius a causa dell’attività lavorativa svolta.

La Corte territoriale, disposta la CTU medico legale, aveva stabilito che la malattia contratta dal lavoratore rientrava per il 29% nel rischio da esposizione ad amianto, dunque non era stata raggiunta quella probabilità qualificata richiesta nel caso di patologia multifattoriale; la considerazione dell’uso di sigarette da parte del lavoratore concorreva, inoltre, secondo la stessa Corte d’appello, a costituire una condizione esterna idonea ad abbassare la soglia dell’esposizione ritenuta significativa ai fini dell’esistenza del nesso causale tra la patologia tumorale e l’esposizione all’amianto.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente lamentava, tra gli altri motivi, l’erroneità della sentenza nel punto in cui, avendo accertato la sussistenza di concorrenti fonti di rischio (risalente abitudine al fumo), aveva escluso la rilevanza del nesso causale tra amianto e tumore polmonare, violando il principio dell’equivalenza delle condizioni posto dall’art. 41 cod. pen., sebbene entrambi i consulenti avessero escluso che il fumo di tabacco aveva costituito un fattore extra lavorativo di per sé idoneo a causare la malattia.

Gli Ermellini, con l’ordinanza n. 38659/2021, hanno ritenuto effettivamente di aderire alle argomentazioni proposte.

In materia d’infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola dell’art. 41 cod. pen., con la conseguenza che il rapporto causale tra l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni; secondo tale principio va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, con esclusione del nesso eziologico richiesto dalla legge solo qualora possa essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.

Nel caso in esame, l’intervento del suddetto fattore estraneo all’attività lavorativa, ossia l’abitudine al fumo del lavoratore era stato oggetto di un mero richiamo, in motivazione, alle valutazioni della consulenza tecnica, ove erano stati astrattamente riportati gli studi scientifici sull’effetto sinergico tra fumo di tabacco e amianto nell’indurre il tumore polmonare, seguìto dalla precisazione, formulata ancora in via generale, che tale effetto si verifica soltanto nel caso di esposizione significativa all’amianto, ossia quando il valore – soglia supera il livello medio di 25 fibre/m1 – anni; nella specie, la Corte territoriale avev affermato che, non essendosi determinata un’esposizione significativa all’amianto, il concorso della fonte di rischio esterna (assunzione di tabacco) non poteva aver prodotto quell’effetto sinergico tale da far dichiarare sussistente il nesso eziologico tra l’attività lavorativa e l’insorgere della malattia; quanto contenuto in sentenza confermava che, in definitiva, la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza del collegamento causale tra esposizione all’amianto e malattia tumorale senza, peraltro, aver valutato se l’intervento del fattore estraneo all’attività lavorativa (abitudine al fumo) avesse potuto da solo causare la malattia, sì da far concludere che la prolungata esposizione all’amianto aveva costituito una semplice occasione e non invece la causa determinante del tumore polmonare.

La redazione giuridica

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