Accolto il ricorso di un lavoratore che si era visto rigettare la domanda volta a conseguire la rendita o l’indennizzo per malattia professionale (carcinoma alla laringe)

Con l’ordinanza n. 38862/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un cittadino che si era visto rigettare, in sede dim merito, la domanda proposta nei confronti dell’INAIL e volta a conseguire la rendita o l’indennizzo per malattia professionale (carcinoma alla laringe).

La Corte distrettuale – rinnovato l’incarico al consulente tecnico d’ufficio – aveva rilevato che il lavoratore, trattandosi di malattia professionale non tabellata, non aveva provato, in termini di ragionevole certezza, il nesso di causalità tra tecnopatia e attività lavorativa (motorista, marinaio, capobarca a bordo di rimorchiatori), ritenuto che anche la perizia svolta dai consulenti tecnici d’ufficio in grado di appello (che aveva specificamente replicato alle osservazioni del consulente di parte contenute nell’atto di appello) aveva sottolineato l’assenza di prova sull’entità e sulla durata dell’esposizione ad agenti cancerogeni, la frequenza solo occasionale e per periodi temporali contenuti delle operazioni di disincrostazione dai pannelli di amianto (uniche che potevano disperdere polveri di amianto), a fronte delle risultanze statistiche che riconducono l’esposizione all’amianto soprattutto a patologie a livello pleurico. Inoltre, il D.M. 10.6.2014 citato dal consulente di parte oltre ad essere stato adottato in epoca successiva alla domanda amministrativa, non conteneva l’elenco delle malattie professionali c.d. tabellate bensì l’elenco delle malattie causate o correlate al lavoro per le quali è obbligatoria la denuncia da parte del medico ex art. 139 T.U. n. 1124 del 1965.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente contestava alla Corte di appello di aver trascurato di considerare che il d.m. del 2014, alla lista n. 1, gruppo 6, individua il tumore alla laringe quale malattia la cui origine lavorativa è di elevata probabilità in relazione all’esposizione all’amianto ovvero alla sostanza la cui presenza nell’ambiente di lavoro è stata non solo prospettata dal lavoratore ma anche, come pacifico in atti, provata; la Corte aveva, pertanto, trascurato che a fronte di una malattia multifattoriale non tabellata (quale quella di cui trattasi) acquisita la prova della elevata cancerogenicità del fattore professionale dell’esposizione all’amianto, il nesso eziologico può essere negato solo qualora possa ritenersi con certezza e con onere della prova a carico dell’INAIL, che la malattia sia l’effetto esclusivo di un fattore estraneo all’attività lavorativa.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza manifestamente fondata.

Dal Palazzaccio hanno infatti evidenziato che “in ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, secondo consolidato indirizzo di questa Corte, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e – se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia) – è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale”.

Ebbene, la Corte territoriale, esclusa la ricorrenza di una patologia tabellata (su cui concordava anche il ricorrente), aveva evidenziato che non vi erano elementi sufficienti per ritenere sussistente un nesso di causalità tra patologia sofferta e attività lavorativa così come svolta dal lavoratore in quanto mancava la prova sull’entità e sulla durata dell’esposizione ad agenti cancerogeni, essendo emerso unicamente la frequenza solo occasionale e per periodi temporali contenuti delle operazioni di disincrostazione dai pannelli di amianto (uniche che potevano disperdere polveri di amianto).

Il Giudice a quo, peraltro, aveva omesso di valutare che il D.M. 10.6.2014 include il tumore alla laringe tra le malattie ad elevata probabilità in relazione ad attività lavorative che espongono all’amianto (lista I, gruppo 6); conseguentemente, seppur trattasi di elenco delle malattie previsto dall’art. 139 del d.P.R. n. 1124 del 1965 che non amplia il catalogo delle patologie tabellate ad eziologia professionale presunta, la valutazione della ragionevole certezza della derivazione della malattia dall’attività lavorativa svolta dal ricorrente (che, seppur in via occasionale e per periodi temporali contenuti, era stato pacificamente esposto alle fibre di amianto) non poteva trascurare – a fronte di una accertata esposizione a rischio ambientale – il dato scientifico rappresentato dalla correlazione di elevata probabilità evidenziata nel D.M. citato.

La Cassazione ha poi ricordato che “ai fini dell’operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza – anche costituzionale (Corte. Cost. 206/74) – sia sufficiente il rischio ambientale (cfr. Cass. SU 13025/2006; 15865/2003, 6602/2005, 3227/2011), ovvero che il lavoratore abbia contratto la malattia di cui si discute in virtù di una noxa comunque presente nell’ambiente di lavoro ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno, anche se egli non fosse stato specificatamente e direttamente addetto alle stesse mansioni nocive ed a prescindere dal livello di esposizione”.

La redazione giuridica

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