Corte di Cassazione, III Sezione, n. 11914/2016

La compagnia esercente servizi di telefonia deve attivare con tempestività e “nei termini contrattualmente stabiliti” la nuova utenza del cliente proveniente da un vecchio gestore. Nel caso in cui questo non sia possibile, la stessa società fornitrice è tenuta a dare tempestivamente comunicazione al proprio cliente dell’impossibilità di eseguire la prestazione dovuta e adottare gli opportuni provvedimenti al fine del contenimento dei danni.

Lo ha stabilito la III Sezione Civile della Cassazione, in relazione ad una vicenda che ha visto coinvolta una delle più importanti società di telecomunicazioni italiane.

La società era stata citata in giudizio da un utente dopo aver più volte richiesto, senza alcun risultato, l’attivazione della nuova linea telefonica e il contestuale passaggio dal precedente operatore, sulla base di una procedura di rientro unilaterale che la stessa compagnia gestiva autonomamente.

Secondo quanto pattuito, la nuova linea telefonica sarebbe stata attivata entro 10 giorni dalla richiesta del cliente.

Quanto mai di più falso !

Nonostante i continui solleciti, la società fornitrice del servizio restava inadempiente. Era, infatti, sopraggiunta una delibera dell’autorità amministrativa per le telecomunicazioni che le impediva di procedere per via unilaterale al rientro dei clienti in precedenza abbonati presso altri gestori, disponendo che siffatte modalità di rientro dovessero essere disciplinate da accordi assunti dalla stessa direttamente con i vari gestori”.

A ben vedere, la questione merita attenzione sotto un duplice profilo.

Come noto, in base agli artt. 1218 e 1256 c.c. il debitore è responsabile per l’inadempimento dell’obbligazione fino al limite della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l’impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa.

Occorre allora stabilire, nel caso di specie, innanzitutto se questa impossibilità sopravvenuta sia obiettiva, assoluta e imprevedibile secondo la “normale” diligenza (cfr. Cass., nn. 2691/87, 3844/80, 2555/68). E che essa non si caratterizzi in una mera difficoltà, ma si tratti di un vero e proprio impedimento, anch’esso obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso e, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (cfr, e pluribus, Cass. nn. 15073/09, 9645/04. 8294/90, 5653/90 e 252/53.

In relazione, poi, all’ipotesi in cui un atto dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria (cd. factum principis), abbia inciso negativamente sull’attuazione del rapporto obbligatorio, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, perché questo possa dirsi idoneo a giustificare l’inadempimento o il ritardo nell’esecuzione della prestazione, è necessario accertare che il debitore non vi abbia colposamente dato causa (v. Cass., n. 21973/07)..

Al contrario, perché “tale effettivo estintivo si produca, è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, il che vuol dire che, di fronte all’intervento dell’autorità, il debitore non deve restare inerte né porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità” (così, Cass. n. 818/70).

Nel caso di specie – affermano i giudici della Corte – è certa l’esistenza di una causa esterna incidente sul momento dell’adempimento, vale a dire la delibera dell’autorità amministrativa, ma occorre altresì, valutare se la parte convenuta abbia adottato la necessaria diligenza nell’esecuzione del contratto.

Pare, infatti, che questa fosse venuta a conoscenza della delibera con largo anticipo (circa due mesi prima della stipula del contratto) e, ciononostante, non avesse provveduto a dare comunicazione al proprio cliente dell’impossibilità sopravvenuta, né avesse adottato alcun provvedimento a protezione del primo.

Nulla da fare allora, per la compagnia telefonica, già condannata in primo grado e uscita vittoriosa in appello.

Per ora la questione rimane aperta, in attesa del giudizio della Corte territoriale nuovamente investita della vicenda, ma che ora dovrà attenersi al seguente principio di diritto: in relazione ad un contratto fra una impresa esercente servizi di telefonia ed il cliente, in presenza di un atto dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria che abbia inciso negativamente sull’attuazione del rapporto obbligatorio, è necessario, per giustificare l’inadempimento o il ritardo nell’esecuzione della prestazione, che l’impresa non vi abbia colposamente dato causa, in quanto il factum principis non basta di per sé solo a giustificare l’inadempimento ed a liberare l’obbligato inadempiente da ogni responsabilità.

Nel caso in cui l’impresa esercente servizi di telefonia non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, essa non può invocare l’impossibilità della prestazione con riferimento ad un provvedimento dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza.

La diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto da parte di una impresa esercente servizi di telefonia impongono di comunicare tempestivamente al proprio cliente l’impossibilità di eseguire la prestazione e di adottare gli opportuni provvedimenti al fine del contenimento dei danni.

Avv. Sabrina Caporale

 

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