Confermata la responsabilità del conducente di un veicolo accusato del decesso di un pedone travolto su una strada statale per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia

L’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatico addebito di responsabilità a carico di chi è imputato per un reato colposo, imponendo che la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto di regole cautelari (generiche o specifiche) sia causalmente correlata alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la c.d. «concretizzazione» del rischio): inoltre, l’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica) (ciò che si risolve nell’accertamento dell’elemento oggettivo della colpa), ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere ex ante quello specifico sviluppo causale e attivarsi per evitarlo. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 42087/2021 pronunciandosi sul ricorso di un automobilista, imputato del reato previsto dall’art.589, commi 1 e 2, cod. pen. per aver cagionato la morte di un pedone travolto su una strada statale, con colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché con violazione dell’art. 141, commi 1, 2 e 3, d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285 in quanto, omettendo di adeguare la propria velocità in relazione alle caratteristiche e alle condizioni della strada, nonché alle condizioni di visibilità, considerato l’orario notturno, non si era avveduto del fatto che il pedone avesse iniziato l’attraversamento della sede stradale da sinistra verso destra e, comunque, non era riuscito a conservare il controllo del mezzo al fine di eseguire le manovre necessarie ad evitare l’impatto.

L’antefatto dell’investimento, avvenuto verso le cinque del mattino, era la presenza della vittima lungo la strada, di ritorno da un vicino night club; in quel contesto, alla chiusura del medesimo locale, il relativo personale si era allontanato a bordo di tre auto, partite a breve distanza l’una dall’altra. La terza auto si era imbattuta in un corpo esanime sulla strada segnalando l’occorso ai Carabinieri.

In seguito, durante i primissimi accertamenti, era sopraggiunta una quarta auto che aveva investito nuovamente il corpo, non essendosi la conducente accorta della sua presenza, anche se tale secondo investimento era avvenuto allorché il pedone era già morto.

I Carabinieri si erano, quindi, recati a casa dell’imputato, poco distante, rendendosi conto che la vettura presentava la rottura del gruppo ottico anteriore e lo sfondamento della parte sinistra del parabrezza, ove si erano poi accertate tracce ematiche e di capelli.

Il giudice di primo grado aveva accertato, sulla base di quanto emerso all’esito dell’istruttoria, che il pedone era stato urtato con la parte sinistra frontale dell’autoveicolo mentre percorreva la strada statale in corrispondenza della parte postero-laterale del ginocchio e della gamba destra, da ciò desumendo che al momento dell’urto l’uomo non stesse attraversando la carreggiata ma fosse stato colpito da dietro; il conducente dell’autovettura, peraltro, marciava a una velocità stimata intorno ai 90 km/h, eccessiva in relazione al fatto che la strada fosse priva di illuminazione, all’orario notturno, alla totale inefficienza del faro destro. Il tribunale aveva, inoltre, escluso il concorso di colpa della vittima, non essendo certa la prova che stesse intraprendendo l’attraversamento della carreggiata o che l’elevato tasso alcolico riscontrato, pari a 1,41 g/I, avesse avuto alcuna influenza sullo svolgersi dell’accaduto.

Tale dinamica del sinistro era stata confermata in grado di appello, con l’aggiunta che l’autovettura aveva i fanali di posizione “rotti e riparati con nastro adesivo” e il faro destro non originale e inefficiente, ossia scarsamente illuminante e fuori puntamento sia sul piano verticale che sul piano orizzontale, desumendone che l’autovettura non fosse idonea alla circolazione in ora notturna. La Corte territoriale aveva poi evidenziato che non era presente nel luogo dell’investimento un attraversamento pedonale sotterraneo, per cui il pedone non avrebbe avuto, in ogni caso, un’alternativa migliore o doverosa per attraversare.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, vizio della motivazione in merito alla dinamica dell’incidente, posto che i giudici di merito, pur avendo affermato di non poter determinare con esattezza il punto d’urto, avevano tuttavia sostenuto che il pedone fosse stato colpito da dietro, cioè verosimilmente mentre non attraversava la strada. Il difensore lamentava che fossero state disattese le conclusioni del consulente del Pubblico ministero, che aveva ritenuto l’attraversamento totalmente «dissennato», concludendo anche per l’impossibilità di determinare il punto in cui il pedone fosse stato urtato in ragione del fatto che l’autovettura sopraggiunta dopo l’investimento aveva travolto il corpo schiacciandolo con le ruote e urtandolo con le parti inferiori dell’auto. Nel ricorso si evidenziava, inoltre, che dall’istruttoria espletata era emersa l’esistenza di un sottopassaggio a distanza di qualche centinaio di metri, potendosi da ciò desumere che lo stato confusionale del pedone lo avesse indotto a scegliere il tragitto più breve per affrettare il ritorno in un vicino albergo.

Gli Ermellini, tuttavia, alla luce dei principi richiamati, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze proposte.

La motivazione del giudice a quo, infatti, risultava congrua laddove i giudici di merito avevano spiegato, facendo riferimento alla mancanza di vascolarizzazione dei segni lasciati sul corpo del pedone travolto e trascinato da una seconda autovettura, le ragioni per le quali erano state ritenute non condivisibili le considerazioni svolte dal consulente tecnico del Pubblico ministero circa l’inadeguatezza dei dati a disposizione per individuare tanto il punto d’urto sulla carreggiata quanto il punto d’investimento sul corpo del pedone. Né risultava trascurato nella sentenza impugnata, così come nella sentenza di primo grado, il profilo, evidenziato nel ricorso, che ineriva alla causalità della colpa.

La redazione giuridica

Sei stato coinvolto in un incidente stradale? hai subito un danno fisico o perso un congiunto e vuoi ottenere il massimo risarcimento danni? Clicca qui

Leggi anche:

Obbligo di prudenza nella circolazione stradale anche con diritto di precedenza

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui