Nei confronti del produttore o rivenditore della macchina, l’abnormità del lavoratore che ha subito l’amputazione della mano, può effettivamente configurarsi solo di fronte ad uso improprio e del tutto anomalo

In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è configurabile l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., con conseguente perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., purché sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi. Lo ha specificato la Suprema Corte con la sentenza n. 42110/2021 pronunciandosi sul ricorso di due soci ed amministratori di società rivenditrice di una macchina spargisale, accusati del reato di cui agli artt. 113 e 590 cod.pen. per avere cagionato, con colpa consistita nella violazione dell’allegato, punto 1.4.3, del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, mettendo in commercio una macchina priva del dispositivo di sicurezza che impedisse a chiunque di raggiungere gli elementi mobili in movimento, lesioni gravissime, consistenti nell’amputazione della mano destra, ad un uomo, il quale, pur non essendo dipendente dell’azienda, si avvicinava a tale macchina e, nel tentativo di rimuovere un grosso pezzo di sale posto sul fondo della tramoggia, rimaneva impigliato nel rimescolatore, che gli tranciava l’arto.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, i ricorrenti deducevano, tra gli altri motivi, la mancanza di motivazione in ordine alla prima censura di appello, con cui si era allegata l’interruzione del nesso di causalità tra la contestata violazione e l’evento lesivo, determinata dalla condotta imprevedibile di volontaria esposizione al rischio della vittima, atteso che su tale aspetto la Corte territoriale si era limitata ad affermare, in modo apodittico, che i riferimenti contenuti nell’atto di appello al datore di lavoro, alla sicurezza nel luogo di lavoro, al terzo estraneo all’ambiente di lavoro che si esponeva volontariamente al rischio, alla condotta abnorme ed imprevedibile del danneggiato non erano pertinenti ed dirimenti per escludere il nesso di causalità e responsabilità. La persona offesa, del tutto estranea all’organizzazione dell’impresa, non aveva semplicemente subito la pericolosità del luogo di lavoro, ma si era intromessa nelle operazioni produttive e si era volontariamente esposta al rischio, con una iniziativa in concreto imprevedibile ed estemporanea, ponendo in essere una acrobazia al fine di arrivare a toccare l’albero rotante, nonostante fosse consapevole delle istruzioni contenute nel manuale di uso (evidenziate anche con appositi pittogrammi sull’esterno dello spargisale), secondo cui le operazioni di manutenzione dovevano essere effettuate, con una serie di precauzioni (rispetto della distanza di sicurezza e divieto di rimescolare il sale con le mani), da personale specializzato ed a macchina spenta (mentre, nell’episodio in esame, la macchina era accesa ed a velocità elevata).

Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibili le doglianze proposte.

Il giudice di appello, richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado, aveva ricostruito tutti i passaggi della vicenda, individuando con precisione gli elementi che inducevano ad escludere che la condotta della vittima avesse interrotto il nesso di causalità, ed aveva affermato, in modo esplicito, la non pertinenza rispetto alla fattispecie esaminata degli orientamenti di giurisprudenza richiamati dai ricorrenti nell’appello. Neppure si configurava alcuna violazione di legge, atteso che l’introduzione di un terzo, estraneo all’organizzazione aziendale, nel ciclo produttivo e la conseguente prestazione, da parte sua, di una qualsiasi forma di collaborazione, anche laddove non sollecitata dall’imprenditore o dai suoi preposti e dipendenti, integra una ipotesi che, sebbene irregolare, non si presenta come eccezionale (soprattutto nelle piccole imprese e nelle realtà familiari) ed è, quindi, del tutto prevedibile, salvo che non avvenga all’insaputa e contro la volontà del datore di lavoro.

La decisione di merito, dunque, risultava corretta, atteso che la prestazione di un aiuto nella pulizia dello spargisale da parte del padre dell’imprenditore titolare non ricadeva nell’orbita dell’eccezionalità, inserendosi nelle ordinarie attività collegate al ciclo produttivo ed all’uso stesso della macchina in esame, che così come possono essere poste in essere da lavori inesperti, allo stesso modo possono essere effettuate da soggetti non legati da un rapporto di lavoro all’imprenditore, su sua richiesta o, comunque, con la sua tolleranza e senza la sua reale (e non solo nominale) opposizione. La Cassazione ha anche aggiunto che, nei confronti del produttore o rivenditore della macchina, l’abnormità può effettivamente configurarsi solo di fronte ad uso improprio e del tutto anomalo della macchina e non certo nell’ipotesi di un uso proprio della stessa, collegato proprio alla sua funzione.

La redazione giuridica

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