Si tratta del paziente più giovane operato in Italia e del secondo caso al mondo. Il ragazzo soffriva di asistolia da 7 anni

Bastava un po’ di agitazione, un’emozione più forte del solito, e il suo cuore di smetteva di battere. Un dolore improvviso al petto seguito da svenimenti imprevisti e imprevedibili, che duravano secondi interminabili. Per sette anni, un quattordicenne ha sofferto di asistolia. Ora potrà fare una vita normale grazie a un mini pacemaker, il più piccolo in commercio, invisibile e senza fili. Si tratta del “più giovane paziente italiano” portatore di questa cardiocapsula, simile a una moneta da 1 euro. Il suo – spiegano i camici bianchi dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che hanno effettuato l’impianto – è “il secondo caso al mondo”.

L’asistolia è un tipo di bradiaritmia, un’alterazione del ritmo cardiaco per cui, per un periodo più o meno lungo, manca l’impulso che dovrebbe generarsi automaticamente dentro il cuore per farlo battere. Quando succede si perde coscienza, si cade a terra. E il pericolo non è solo di riportare traumi, ma anche che l’organo-motore riparta nel modo sbagliato, con un’aritmia ventricolare maligna e mortale.

Per scongiurare questo rischio bisognava innanzitutto capire cosa avveniva nel cuore del ragazzo, e per farlo l’équipe di Elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca del nosocomio bergamasco – che lo seguiva dal 2013 – ha posizionato sottocute vicino all’organo del bambino un loop recorder, un minuscolo registratore automatico grande un terzo di una pila ministilo, capace di fotografare le ‘altalene’ del cuore in tempo reale, giorno e notte.

Nel 2016 il cuore del piccolo paziente si ferma ancora. La nuova sincope dura 9 secondi. Servirebbe un pacemaker, ma il ragazzo non ci sta, non vuole rinunciare a una vita normale.

Genitori e medici decidono quindi di aspettare ma 2 anni dopo, in piena notte e senza che nessuno se ne accorga, il battito si interrompe per 18 lunghissimi secondi. A questo punto non è più possibile rimandare.

Paolo De Filippo, responsabile dell’Unità di Elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca, e Paola Ferrari, aritmologa specializzata in patologie pediatriche, propongono di intervenire ma incontrano nuovamente le resistenze del paziente. E così viene scelto un sistema di stimolazione cardiaca miniaturizzato, il più piccolo pacemaker al mondo, con una batteria che garantisce per una decina d’anni l’emissione di impulsi elettrici in grado di regolarizzare il battito cardiaco.

“Grazie al dispositivo, che non necessita di alcun filo o elettro-catetere di connessione, è stato possibile – afferma De Filippo – superare una serie di problemi legati al classico pacemaker monocamerale. Inserito chirurgicamente sotto la pelle del torace, il tradizionale pacemaker impedisce alcuni gesti del braccio. E’ più complicato praticare attività sportive come il nuoto, la pallavolo, il tennis, e più in generale attività in cui si rischia di cadere o sport di contatto come le arti marziali o il calcio. Al contrario, questa tecnologia è del tutto invisibile e non invasiva. Non richiede incisioni né ‘tasche’ sotto la cute del torace, eliminando il rischio di infezioni e potenziali complicanze, tipiche di un intervento tradizionale”.

“Per arrivare al cuore – puntualizza Ferrari – non apriamo il torace, la sonda passa attraverso la vena femorale. In questo caso però l’incognita maggiore riguardava il diametro della vena. Trattandosi di un ragazzino, lo strumento che ci permette di raggiungere il cuore poteva avere dimensioni maggiori del vaso sanguigno di Marco, perciò abbiamo dovuto agire con estrema delicatezza. Siamo risaliti dall’inguine con il dispositivo che libera il pacemaker, lo abbiamo posizionato all’interno del cuore, nel ventricolo destro, e lo abbiamo rilasciato nel sito d’ancoraggio, dove rimane grazie a piccoli ganci”.

“La scelta del dispositivo – sottolinea la specialista – non è stata compiuta a cuor leggero. E’ una conquista tecnologica che ha ancora un grosso limite. Quando la pila di un pacemaker classico si esaurisce, noi riapriamo la ferita e lo sostituiamo. In questo caso, almeno per il momento, l’unica soluzione è lasciarlo nel cuore e metterne un altro simile, oppure posizionare un pacemaker tradizionale”.

“Un limite su cui si sta già lavorando – conclude De Filippo – e ci auguriamo che, per quando la pila sarà esaurita, la tecnologia ci avrà fornito una soluzione. Allora potremo dire di aver dato a Marco tutta una vita senza limitazioni e senza più rischi”.

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