Una sentenza della Cassazione ha fornito maggiori chiarimenti sul reato di istigazione al suicidio nei casi legati alla Blue Whale Challenge

Nei mesi scorsi si è molto parlato della cosiddetta Blue Whale Challenge, un “gioco” diffusosi in rete durante il quale, a seguito di estenuanti prove di sottomissione, chi partecipa viene spinto a togliersi la vita.

Ebbene, la Blue Whale, per la Cassazione, non può essere considerata istigazione al suicidio.

Secondo i giudici, non può configurarsi il reato ex art. 580 c.p. se manca un tentativo di suicidio o lesioni gravi o gravissime.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 57503/2017. Questa è stata pronunciata sul ricorso dell’imputato, indagato per il reato di istigazione al suicidio e adescamento di minori, al quale il Tribunale, con funzione di giudice del riesame, aveva confermato il sequestro probatorio di cellulare e materiale informatico.

L’imputato aveva intrattenuto dei rapporti virtuali con la minore, nell’ambito della partecipazione al “gioco” della Blue Whale Challenge.

L’uomo aveva inviato alla minore un messaggio del seguente tenore: “Manda audio in cui dici che sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni”.

In Cassazione, il ricorso dell’uomo è stato dichiarato in gran parte infondato, eccetto la doglianza riguardante la configurazione del reato di cui all’art. 580 c.p..

L’imputato aveva evidenzato che la minore non aveva tentato il suicidio e, in ogni caso, si era procurata lesioni non gravi. Il tutto, tra l’altro, in conseguenza di condotte addebitabili ad altri.

E, come confermato dai giudici, la norma punisce l’istigazione al suicidio a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi.ì

Pertanto, l’ambito di tipicità disegnato dal legislatore esclude, non solo, la rilevanza penale dell’istigazione in quanto tale, contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie (es artt. 266, 302, 414, 414-bis. 415 c.p.), ma, altresì la rilevanza dell’istigazione accolta a cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio.

O, addirittura, di quella seguita dall’esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, tuttavia, solo delle lesioni lievi o lievissime.

Secondo la Cassazione, “la soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell’evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l’appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell’istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima”.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale – secondo la Cassazione – ha errato nel ritenere sussistente il fumus del delitto ipotizzato dal pubblico ministero.

Al contrario, non sono state accettate le doglianze sulla condotta di adescamento di minorenni, ex art. 609-undecies c.p., la cui imputazione, pertanto, resta ancora a carico dell’imputato.

 

 

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