La Corte di Cassazione si è espressa sulla possibilità di revocare il consenso a fecondazione eterologa iniziata fornendo importanti chiarimenti

È legittimo revocare il consenso a fecondazione eterologa iniziata?

A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 30294/2017.

Per la Suprema Corte, revocare il consenso a fecondazione eterologa iniziata non è possibile.

Il padre, dunque, non può disconoscere il nato privandolo di una figura genitoriale.

La sentenza della Corte Costituzionale, che ha limitatamente ammesso la fecondazione eterologa, ha unificato la disciplina della procreazione assistita, ma non modificato la disciplina del consenso.

Ciò significa che il nato non può essere privato di uno dei genitori tramite il disconoscimento di paternità poiché quella reale non è accertabile essendo stato utilizzato un seme di provenienza ignota.

Nel caso di specie, il marito aveva convenuto in giudizio il figlio e la moglie affinché si disconoscesse la sua paternità stante la propria impotentia generandi. La domanda, tuttavia, veniva rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello.

La coppia, formata da due cittadini italiani, aveva effettuato in Spagna l’impianto dell’embrione nell’utero, poiché, al tempo l’inseminazione eterologa (ovverosia con seme diverso da quello del marito o del partner) era vietata in Italia. Ciò nonostante ne venissero disciplinati gli effetti dalla legge 40/2004 nell’esclusivo interesse del nato.

Soltanto con il successivo intervento della Corte Costituzionale, e la sentenza n. 162/2014, è stata ammessa l’eterologa in Italia.

L’uomo ha poi riproposto le sue doglianze in Cassazione, lamentando violazione e vizio di motivazione, in relazione ai parametri costituzionali.

Nello specifico, in merito all’art. 6 della L. 40/2004, circa il divieto di revoca del consenso all’impianto, e dell’art. 9 della stessa legge, sul divieto di disconoscimento del figlio nato a seguito di trasferimento embrionale.

Gli Ermellini hanno quindi ricordato come, ai sensi della normativa richiamata dal ricorrente, il coniuge o convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti, non può esercitare azione di disconoscimento della paternità. Nemmeno quando, come nel caso di specie, sia affetto da impossibilità di generare.

Ancora, revocare il consenso a fecondazione eterologa iniziata, non è possibile. La volontà può essere da lui revocata, solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo.

Infatti, consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni più volte affermata dalla Corte Costituzionale (ex multis, sentt. 151/2009 e 229/2015).

La stessa giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha ritenuto che l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali. Non solo. Lo priverebbe anche del connesso rapporto affettivo e assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota.

Sul punto, inoltre, non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale.

Nel caso di specie, il ricorrente, dopo aver espresso il consenso all’inseminazione eterologa, lo revocò con successiva comunicazione, giunta in data nella quale il trattamento embrionale era già iniziato.

Per la Cassazione, dunque, la comunicazione di revoca del consenso ricevuta dall’Istituto non può rilevare. Questo poiché non c’era stata dimostrazione che tale revoca fosse intervenuta prima dell’attivazione della tecnica di preparazione dell’embrione.

Si tratta, d’altronde, di questione di fatto insuscettibile di controllo in Cassazione, pertanto la domanda deve essere rigettata.

 

 

 

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