Cicli di chemioterapia sperimentale e omesso consenso informato

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I familiari del bambino deceduto attribuiscono la responsabilità dell’evento all’Ospedale di Padova per avere effettuato cicli di chemioterapia sperimentale (Corte di Cassazione, III civile, 4 dicembre 2024, n. 31039).

Il bambino era affetto da ependimoma cerebrale anaplastico metastatico. I sanitari dell’Ospedale si sarebbero discostati dalle linee guida più accreditate sottoponendo il minore, dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore a livello encefalico, non alla radioterapia, indicata nel caso di specie, bensì, dapprima, ad alcuni cicli di chemioterapia sperimentale, sin da subito non tollerata, tanto da causare uno stato di immunodepressione e una riduzione delle resistenze dell’organismo.

In sintesi, i danneggiati deducono che tale condotta, unitamente al ritardo terapeutico, avrebbe impedito di debellare la malattia, e che non vi sarebbe stata informativa sulla natura del trattamento sperimentale, sui possibili rischi e sulle eventuali alternative terapeutiche.

La vicenda giudiziaria

Acquisita la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., il Tribunale di Padova rigetta la domanda di errore medico compensando le spese. Quindi accertata la responsabilità dell’Ospedale per il mancato consenso informato in ordine alla terapia sperimentale praticata al bambino, liquida, in termini di danno differenziale da invalidità temporanea, a pagare agli eredi la somma di 6.615 euro oltre interessi e rivalutazione da calcolarsi secondo i criteri specificati in sentenza.

Riguardo l’asserito errore medico, il Tribunale ha ritenuto insussistente il nesso causale tra gli inadempimenti dedotti e il decesso del ragazzo, dovuto esclusivamente alla “inesorabile progressione della recidiva tumorale encefalica”.

L’accertamento tecnico preventivo

Ha inoltre ritenuto, sulla scorta dell’ATP che:

  • Considerata la rarità dei tumori di quel tipo, non vi fossero rilievi statistici significativi in ordine alla eziologia della malattia e, quanto alla sopravvivenza nel quinquennio, essa fosse limitata per la fascia di età di M.F. e per il tipo di patologia, ad una percentuale variabile tra il 10% e il 47%.
  • Non fosse criticabile la scelta di inserire il bambino nel protocollo sperimentale che prevedeva l’instaurazione post chirurgica di una chemioterapia di primo approccio, in luogo della tradizionale terapia radiante, che fu comunque eseguita, a distanza di cinque mesi dal primo intervento di asportazione della massa tumorale principale in sede cerebrale e subito dopo l’asportazione della metastasi in T11, in quanto la stessa era alternativa terapeutica «condivisa dalla comunità scientifica internazionale e giustificata anche in considerazione del rischio di reliquati neurologici associati al trattamento radiante in età pediatrica.
  • In considerazione della aggressività della patologia tumorale encefalica che aveva colpito il ragazzo, il differimento di cinque mesi della radioterapia, dovuto alla scelta di eseguire cicli di chemioterapia sperimentale, non avesse avuto “sostanziali e dimostrabili effetti sulla evoluzione della patologia neoplastica”, poiché il trattamento operato con dosi e metodi conformi era stato iniziato e concluso “in un arco temporale compatibile con il suo effetto di bonifica sulla sede tumorale primitiva”.
  • In presenza di tale raro tipo di tumore, la stessa efficacia della radioterapia postoperatoria, pur praticata come golden standard, fosse controversa per la scarsità di dati statistici affidabili e anche le contestazioni sul punto dei CTP attorei non fossero fondate su dati clinici o di letteratura che permettessero di dimostrare, considerata la recidiva tumorale a livello encefalico, che l’instaurazione di tale terapia, se anticipata di cinque mesi, avrebbe potuto evitare il decesso o allungare le prospettive di sopravvivenza.

Il giudizio di Appello

Successivamente, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della decisione impugnata, ha condannato l’Ospedale a corrispondere l’ulteriore somma di 10.000 euro ciascuno, a titolo di risarcimento delle sofferenze morali derivate dalla lesione del diritto all’autodeterminazione determinata dal mancato previo ottenimento di consenso informato alla praticata terapia sperimentale chemioterapica. Ha poi confermato il primo grado riguardo il rigetto del riconoscimento del carattere colposo delle scelte terapeutiche adottate dall’Ospedale e della loro incidenza sulle probabilità di sopravvivenza del ragazzino.

Con riferimento alla scelta terapeutica di procedere con chemioterapia di primo approccio post-chirurgico, i Giudici di appello hanno dato atto che i CTU avevano evidenziato che:

  • la scelta di sottoporre il piccolo a cicli di chemioterapia sperimentale adiuvante di prima linea era effettivamente suffragata dai confortanti risultati preliminari di diversi studi scientifici rivolti a verificarne l’efficacia;
  • Fino all’epoca dei fatti il golden standard del trattamento [era] rappresentato dalla chirurgia, quanto più radicale possibile, seguita da radioterapia con dosi frazionate; tuttavia, in relazione all’incremento del rischio di reliquati neurologici associati al trattamento radiante, specie in età pediatrica (deficit cognitivi; comizialità), nel corso degli anni ‘90 del secolo scorso si sono studiati nuovi approcci terapeutici, tra cui quello di cui al caso in esame, fondato sulla somministrazione di chemioterapici (vincristina, ciclofosfamide, etoposide); ciò principalmente sulla scorta di studi già pubblicati, da cui era emersa l’efficacia della chemioterapia come trattamento adiuvante di prima linea dopo chirurgia apparentemente radicale (cioè senza evidente residuo di malattia), in bambini affetti da ependimoma di età inferiore ai tre anni; è in quest’ottica che la piccola vittima fu inserita nel protocollo sperimentale indicato per quanto, considerate le circostanze specifiche del caso concreto, alcuni elementi (età e presenza di probabile metastasi) non rientrassero specificamente nei presupposti del protocollo”.

La mancanza di nesso causale

Hanno, poi, affermato che eseguita l’asportazione chirurgica della metastasi vertebrale ed eseguita la radioterapia, il follow-up oncologico rimaneva negativo fino a novembre 2000, quando l’indagine RM evidenziava una recidiva tumorale in corrispondenza del “corno frontale del ventricolo laterale destro in progressiva espansione ai successivi controlli”. Non vi era, quindi, dubbio (secondo i Giudici di secondo grado) che la causa della morte del ragazzino, fu rappresentata “dalla inesorabile progressione della recidiva tumorale encefalica, ormai non più responsive alle terapie, sia tradizionali che “non convenzionali”, all’uopo instaurate”.

Ergo, secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza, non vi è prova che la preventiva sottoposizione alla chemioterapia, ed il ritardo di cinque mesi nella instaurazione della radioterapia, furono elementi causalmente idonei a determinare il decesso del paziente posto che, come affermato ancora dai CTU e non smentito dai CTP, “il differimento del trattamento radiante, se preceduto da chemioterapia, non influenza negativamente la prognosi, sia in termini di sopravvivenza Ubera da malattia che di sopravvivenza a lungo termine”.

L’intervento di rigetto della Corte di Cassazione

I congiunti della vittima, in sintesi, osservano che era stato chiaramente evidenziato:

  • a) il “punto nodale” della questione fosse la erroneità della scelta terapeutica imputabile ai sanitari dell’Azienda Ospedaliera di Padova, la quale non integrava una “alternativa terapeutica” in generale e comunque, certamente, non costituiva una “alternativa” nello specifico caso del figlio.
  • b) Le conclusioni sul punto rassegnate dai CC.TT.UU. contraddicevano le premesse da essi stessi poste, là dove si riconosceva che “tale trattamento… era riservato ai pazienti con evidenza di residuo tumorale dopo l’intervento chirurgico”, mentre nel caso di specie non vi erano “segni di persistenza di residui neoplastici”.

L’asserita contraddizione non sussiste poiché tutte le argomentazioni sono state prese in considerazione dalla Corte di merito e appianate nell’ambito di una complessiva valutazione tesa a evidenziare l’esistenza di altri elementi e circostanze che tolgono ad esse valore di segno univoco di colpa professionale e ne escludono comunque una incidenza causale rispetto al drammatico evolversi della malattia o anche solo alla sua tempistica.

La scelta terapeutica

L’esclusione di responsabilità della scelta terapeutica adottata, sia sul piano della perizia, che su quello della prudenza e diligenza, è stata motivatamente esclusa dal Giudice di appello sul rilievo che, in sostanza, trattavasi bensì di terapia sperimentale, ma tuttavia suffragata da studi che, sebbene riferiti a piccoli pazienti di età non superiore a tre anni, tuttavia non escludevano la possibilità di confidare su possibili benefici effetti anche nel caso in questione, senza gravi controindicazioni in termini di aumento dei rischi insiti comunque nella scelta opposta (che anzi si mirava a prevenire) e senza nemmeno precludere l’adozione degli altri percorsi terapeutici più sperimentati (ma parimenti non confortati da statistiche incoraggianti).

Riguardo la mancata adozione della tecnica recepita dalle linee guida (nel caso in esame quella indicata come golden standard), a più riprese la S.C. ha ripetutamente escluso sia una rilevanza normativa delle linee in parola, sebbene siano un parametro di accertamento della colpa medica (Cass. 29/04/2022, n. 13510), sia, soprattutto, una generale rilevanza “parascriminante” delle stesse.

Anche la parte in cui è stata esclusa una incidenza causale della scelta terapeutica sul successivo infausto decorso, la motivazione di secondo grado è chiara, coerente ed esaustiva anche nel dar risposta ai qui richiamati rilievi dei CTP.

In proposito viene rammentato che il Giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del CTU che, nella relazione, abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei CTP, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei CTP, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili.

Avv. Emanuela Foligno

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