La Corte di Cassazione si è espressa in merito alla contraffazione di capi di abbigliamento e ai rischi correlati al reato specifico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48109 del 18 ottobre 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni circa il reato che riguarda la contraffazione di capi di abbigliamento.
Secondo i giudici, la contraffazione di capi di abbigliamento risponde al reato di “introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”.
Questo ha lo scopo di tutelare non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi.

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato un soggetto responsabile del reato di cui all’art. 474 c.p..

L’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi risultava configurata, in quanto il soggetto avrebbe messo in vendita dei capi di abbigliamento con marchi contraffatti.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato si è rivolto alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Cassazione ha così dato parzialmente ragione all’imputato.

Per i giudici, la Corte d’appello aveva fondato la propria decisione sulla base delle risultanze del verbale di sequestro.

Da questo era emerso che i capi di abbigliamento in questione “apparivano, per le loro caratteristiche, contraffatti”.
In particolare, il verbale aveva evidenziato come “i capi presentassero un marchio ‘stampigliato’ diverso da quello originale”.
Non solo. La Cassazione ha affermato che “integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto”, essendo del tutto irrilevante che la contraffazione sia “grossolana”, dal momento che la norma ha lo scopo di tutelare, in via principale, “non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio”.
Tuttavia, per i giudici, la sentenza doveva ugualmente essere annullata.
Questo perché la Corte d’appello non si era in alcun modo pronunciata sulla richiesta dell’imputato di dichiarare la condotta contestata “non punibile” per “particolare tenuità” del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.
Ne consegue che, alla luce di tali circostanze, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, “limitatamente alla mancata pronuncia sulla causa di non punibilità”.
 
 
 
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