Danno all’occhio destro del lavoratore (Cassazione civile, sez. lav., dep. 11/01/2023, n.550).

Danno all’occhio destro del lavoratore e insufficienza del materiale probatorio.

La Corte d’Appello di Napoli respingeva l’appello del lavoratore avverso la sentenza di rigetto delle domande proposte contro il datore di lavoro, INAIL e l’Assicurazione civile, finalizzate al risarcimento dei danni per infortunio sul lavoro del 27/12/2011 che provocava grave danno all’occhio destro.

I Giudici di Appello confermavano la valutazione di primo grado di insufficienza del materiale probatorio ai fini del riconoscimento del diritto azionato e di insuperabili discrasie nella prospettazione della dinamica dell’infortunio come ricostruita dal ricorrente, tenuto conto del contrasto tra i testimoni sulla dinamica dei fatti e della documentazione INAIL, da cui risultava che, a seguito di visita medico-legale, il lavoratore riprendeva dopo pochi giorni l’attività lavorativa, ed era stato ricoverato dopo circa 4 mesi a causa di un infarto cerebrale con trauma oculare.

Il lavoratore propone ricorso in Cassazione per: errata interpretazione della prova testimoniale in riferimento all’applicazione degli artt. 2049 e 2087 c.c.; contraddizione nella valutazione delle prove e omesso riconoscimento di responsabilità in capo al datore di lavoro.

Le censure non sono ammissibili.

Sulle prime due doglianze la Corte Suprema evidenzia che spetta in via esclusiva al Giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi.

Ad ogni modo, ricorre il vizio di omessa, o apparente, motivazione della sentenza allorquando il Giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass. S.U. n. 8053/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019).

La Corte di Appello ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo che ha portato a ritenere non provata la ricostruzione prospettata da parte ricorrente e, quindi, indimostrate le dedotte violazioni della normativa anti-infortunistica.

Riguardo la omessa condanna del datore di lavoro per violazione degli artt. 2049,2087 e 2697 c.c., la doglianza si risolve in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal Giudice di merito, cui viene opposta inammissibilmente (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019) una diversa valutazione, in contrasto con il principio secondo cui la denuncia di violazione di legge non può trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi.

La suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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