Malattia professionale da silicosi e insorte patologie tumorali (Cassazione civile, sez. lav., dep. 12/01/2023, n.675).
Malattia professionale da silicosi e patologie tumorali successive alla cessazione dell’attività lavorativa.
La Corte di Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda con la quale gli eredi del lavoratore, premessa la responsabilità della convenuta Acciaieria ex datrice di lavoro nella determinazione della malattia professionale da silicosi, a quest’ultimo riconosciuta dall’INAIL, nonché in relazione alle patologie tumorali insorte dopo la cessazione del lavoro, avevano chiesto la condanna della società al risarcimento del danno sia iure proprio che iure hereditatis.
La Corte d’Appello basava la propria decisione sulla scorta degli esiti della CTU che escludeva il nesso causale tra la patologia tumorale e l’attività lavorativa prestata.
La decisione viene impugnata in Cassazione.
Parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., e difetto di motivazione in relazione alla mancata ammissione della prova richiesta; le censure articolate attengono all’omesso esame della causa petendi dell’azione proposta, incentrata sulla nocività delle mansioni espletate e dell’ambiente lavorativo rispetto ai quali non veniva ammessa la prova orale; critica, inoltre, la sentenza impugnata in quanto adottata in violazione del principio di equivalenza causale e la mancata considerazione delle osservazioni svolte sulla CTU.
Le censure sono fondate.
La sentenza impugnata in dichiarata adesione agli esiti della CTU ha respinto la domanda richiamando brani della relazione peritale di secondo grado nella quale, fra l’altro, il Consulente dava atto di un quadro diagnostico di pneumoconiosi “non ulteriormente definibile/possibile silicosi, ma anche di pneumoconiosi da polveri miste o da carburo di silicio cui con molta probabilità il lavoratore è stato esposto” e con riferimento al carcinoma alla laringe ne ravvisava la causa nell’elevata esposizione al fumo di sigaretta e in una esposizione a polveri miste, “probabilmente inclusa anche la silice cristallina”, concludendo che a fronte di più fattori di rischio, il tabagismo aveva avuto un “ruolo prevalente” e che vi era “limitata evidenza” del ruolo concausale della esposizione a polveri miste.
Da tali elementi la Corte territoriale ha tratto la conferma del mancato raggiungimento della prova del nesso causale tra il tumore polmonare e l’attività lavorativa svolta.
Ebbene, tale conclusione è inidonea a giustificare la decisione di rigetto.
Infatti, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare per il principio della equivalenza causale di cui all’art. 40, comma 2 c.p. la possibile esistenza di fattori concausali collegati al rischio lavorativo, fattori che avrebbero dovuto essere verificati alla luce di un ragionamento probabilistico che nello specifico non è stato eseguito.
La esclusione del ruolo concausale dell’esposizione lavorativa nociva, per cui veniva riconosciuta la malattia professionale da silicosi, non può trarsi dall’accertamento del Consulente tecnico di ufficio richiamato in sentenza, stante il carattere obiettivamente “perplesso” del complessivo ragionamento dell’ausiliare ed in particolare dell’affermazione conclusiva relativa alla “limitata evidenza” del ruolo concausale dell’esposizione a polveri miste. L’evidenza del ruolo concausale o c’è, oppure non c’è.
I Giudici di appello non potevano limitarsi ad una adesione acritica alla CTU ma avrebbero dovuto giustificare la loro preferenza indicando le ragioni per le quali ritenevano preferibile aderire alla seconda CTU, e non anche alle diverse conclusioni cui perveniva la CTU svolta in primo grado.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno
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