Ricordo di aver spesso seguito con fervida ammirazione le performance diagnostiche del “Dr.House”, la fiction di successo il cui protagonista, un medico disincantato e preparatissimo, che si trascina zoppicando in corsia ricorrendo ad oppiacei trafugati al collega oncologo per sedare i dolori di cui è affetto, e che riesce a pervenire a diagnosi delle più remote patologie. 

Chissà se il Dr.House avrebbe potuto vantare tanti e tali successi se avesse affidato le proprie abilità esclusivamente sull’intuito, esperienza e indubbia spiccata attitudine, senza ricorrere all’indagine diagnostica. Il fatto è che nessuno dubita che l’eroe della fiction prescriva tanti  esami per meglio curare i propri pazienti  e non anche,  o esclusivamente, per tutelare sé stesso da eventuali pretestuose cause. Eppure il confine è sottile e talora quasi inesistente. L’evanescenza di questo confine si palesa esaminando i profili di liceità del rifiuto eventualmente opposto dal paziente alle terapie o esami, qualora l’informazione ricevuta risulti carente e approssimativa e comunque non esaustiva sotto il profilo della gravità del rischio corso in caso di comportamento passivo.

Poiché il diritto della responsabilità medica ha fonte, in massima parte, nel diritto giurisprudenziale, vediamo come il tema è affrontato dalla giurisprudenza di legittimità. In un caso deciso nel 2013 dai giudici di legittimità (Sent.1695), un paziente, dopo aver ricevuto una diagnosi di algia toracica con somministrazione di un antinfiammatorio aveva rifiutato l’osservazione ospedaliera non percependo evidentemente la potenziale gravità delle proprie condizioni che lo avevano condotto, a distanza di un’ora, al decesso per infarto.

La Cassazione ha confermato l’assoluzione del medico del Pronto Soccorso sulla base dell’assunto secondo cui la diagnosi errata in base alla quale era stato rifiutato il ricovero, era da ritenersi “provvisoria”, in quanto emessa a fronte di un quadro diagnostico approssimativo di cui era stato reso edotto il paziente, al quale il sanitario aveva infatti consigliato di effettuare, tramite il proprio medico curante, ogni accertamento di tipo cardiocircolatorio.

A diversa conclusione è giunta la S.C. nell’affrontare il diverso il caso di una diagnosi, anch’essa da ritenersi provvisoria in quanto effettuata a prescindere da approfondimenti diagnostici, la quale tuttavia era stata enunciata alla paziente in termini di certezza e definitività. Sent. Cass. Pen.  Sez. IV, 17 gennaio (dep.28 aprile) 2014, n° 17801. Il medico curante aveva ricondotto i sintomi accusati dalla paziente alla sfera psicologica  e  la stessa,  affetta invece da grave linfoma in stadio avanzato,  facendo affidamento su questa diagnosi errata,  emessa senza effettuare una TAC,  aveva rifiutato visite e terapie malgrado la repentina ingravescenza.

La Cassazione ha confermato la condanna emessa a seguito di rito abbreviato dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Firenze, ritoccata solo in punto di pena dalla Corte d’Appello di Firenze, enunciando il principio secondo cui il rifiuto del paziente deve essere consapevole: “consapevolezza che può ritenersi sussistente solo ove le sue condizioni di salute gli siano state prospettate per quel che effettivamente sono, quanto meno sotto il profilo della loro gravità”, altrimenti il diritto all’autodeterminazione non può dirsi correttamente esercitato.

Accolta in pieno e richiamata, la parte motiva della sentenza di Corte d’Appello di Firenze secondo cui, dalle emergenze processuali si evinceva che la M. aveva appreso dal Dr C. che le proprie condizioni di salute non avevano base organica e, confidando nella sostanziale esattezza della valutazione del Dr. C,  aveva ritenuto inutile recarsi da altri specialisti. Concludeva la Corte territoriale, la cui sentenza è stata ritenuta priva di vizi motivazionali dal giudice di legittimità, che di rifiuto di cure può parlarsi solo quando il medico ha fatto una corretta ipotesi diagnostica e ciò nonostante il paziente si è sottratto alla prescrizione degli accertamenti e della terapie.

Da quanto sopra emerge che, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, il paziente deve essere sempre correttamente informato,  in caso di diagnosi emessa su accertamenti superficiali, della provvisorietà della stessa e, soprattutto, della gravità delle possibili patologie che potrebbero risultare da esami più approfonditi ancora da effettuare o non effettuati.

La Redazione

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