Aveva citato in giudizio il direttore e la società editrice di una rivista per aver pubblicato, in due puntate settimanali, tredici fotografie che lo ritraevano all’interno di un parco da solo o assieme ad altri personaggi, tra cui la soubrette con la quale intratteneva una relazione sentimentale, in atteggiamenti intimi
Ebbene, in primo grado, i convenuti erano stati condannati al pagamento di una somma a titolo di danno patrimoniale (equitativamente determinata, in base al criterio del compenso che l’attore avrebbe, presumibilmente, richiesto per la pubblicazione delle predette fotografie) ed un’altra per il danno non patrimoniale arrecatogli con l’illecita intrusione nella sua vita privata (per il turbamento e la sofferenza psicologica).
Secondo il giudice adito, l’azione contestata era andata oltre il legittimo esercizio del diritto di cronaca, dal momento che la pubblicazione di quelle fotografie, riguardando due personaggi pubblici, intrattenenti una relazione sentimentale sicuramente di interesse per la cd. cronaca rosa, era comunque avvenuta senza il consenso dell’avente diritto e pertanto, violava il diritto al ritratto, di cui all’art. 10 c.c., e art. 96 della legge sulla protezione del diritto d’autore (n. 633/1941), non rientrando il caso in uno di quelli giustificati ai sensi dell’art. 97 della stessa legge: era palese, in tal caso, l’intento dell’attore, in vacanza nella sua dimora, di escludere ogni intrusione in essa da parte degli estranei.
La responsabilità da (duplice) fatto illecito della rivista
Ne conseguiva che l’iniziativa editoriale assumeva rilevanza giuridica sotto due aspetti, entrambi costituenti illecito: a) quello del trattamento abusivo dei dati personali (con violazione degli artt. 2, 11 e 23 Codice Privacy) e b) del reato di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p., comma 2).
Si escludeva pertanto, l’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e così il danno in favore dell’attore veniva liquidato in: a) Euro 80.000,00, per il danno patrimoniale; b) Euro 40.000,00. per il danno non patrimoniale.
La sentenza veniva confermata anche in appello; ma secondo i giudici della Corte territoriale l’attore aveva diritto al solo risarcimento del danno non patrimoniale, ossia quello astrattamente configurabile, per l’obiettiva illecita interferenza nella sua vita privata, assieme alla lesione del diritto alla propria immagine, illecitamente diffusa senza il suo consenso riguardo a momenti destinati a restare del tutto privati e riservati.
Non vi erano i presupposti, invece, per il riconoscimento del danno patrimoniale, atteso che il VIP per il tramite del suo portavoce -aveva espressamente affermato di non voler pubblicare quelle immagini ritraenti momenti della propria vita privata cosicché, negandosi la stessa possibilità dello sfruttamento economico di tali immagini.
Le regulae iuris della Cassazione
Al fine di porre una soluzione al caso dedotto in giudizio, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ribadito le seguenti regulae iuris:
a) In tema di danno patrimoniale, conseguente a plurime violazioni di legge relative alla pubblicazione di foto della propria vita privata, quand’anche relative ad un soggetto molto conosciuto (nella specie: un notissimo attore), dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione delle immagini abusivamente utilizzate, non discende affatto l’abbandono del diritto, con la conseguente sua caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, che si può protrarre per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo e, per altro verso, la stessa gestione del diritto assoluto può comportare la scelta di non sfruttare economicamente i propri dati personali, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto;
b) Nei casi in cui il titolare del bene protetto non intenda concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri, non può essere escluso un danno patrimoniale, atteso che anche qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimonialmente valutabile, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente domandato per concedere il suo consenso alla pubblicazione (che non cade in pubblico dominio), può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo alla consistenza del vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.
Cosicché il ricorso poteva essere accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame di merito.
La redazione giuridica
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