In materia di detenzione di sostanze stupefacenti al fine di spaccio, la lieve entità del fatto può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile da parametri di valutazione sia qualitativi che quantitativi, sia dagli altri elementi del fatto quali i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione

La vicenda

In primo grado era stato condannato dal Tribunale di Foggia per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 ed 1-bis. Ma in appello, la sentenza veniva riformata, riqualificando il fatto come ipotesi di lieve entità, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 73, con conseguente riduzione della pena e concessione della sospensione condizionale della relativa esecuzione.
A proporre impugnazione per la cassazione di tale ultima decisione, era stato proprio il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Bari, il quale denunciava l’erronea applicazione del citato art. 73, comma 5, riconducibile alle sole ipotesi di “minima offensività penale” della condotta, e non anche al caso specifico, già soltanto, per il tipo e il quantitativo di sostanza detenuta: 195 dosi medie singole di cocaina.
Al contrario la corte di appello aveva giustificato la propria decisione con la seguente motivazione testuale: “atteso il modesto quantitativo di principio attivo contenuto nella sostanza sequestrata ed il conseguente limitato numero di dosi ricavabili”. Nulla di più.
Ebbene, non ci vuole certo un esperto per comprendere che quel quantitativo di sostanza stupefacente non era affatto modesto e comunque la corte territoriale aveva reso una motivazione soltanto apparente, oltre che in fatto insufficiente.

Lo hanno affermato i giudici della Cassazione con la sentenza in commento.

A tal proposito hanno anche chiarito che per “motivazione apparente”, s’intende per quella affetta da vizi così radicali, da rendere l’apparato argomentativo, anche quando non del tutto mancante, comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (per tutte, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008).
Peraltro, essendo stata la sentenza di primo grado riformata in un aspetto essenziale, qual è quello della qualificazione giuridica del fatto, sul giudice d’appello gravava l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio nonché di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza.
Ma la decisione meritava di essere riformata a monte.
Ed infatti, la fattispecie della lieve entità del fatto prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione).
La valutazione di tali indici deve essere complessiva: essi, cioè, non possono essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri; e allo stesso tempo, non è necessario che gli stessi abbiano tutti, indistintamente, segno positivo o negativo, potendosi instaurare rapporti di compensazione e neutralizzazione, nell’ottica di un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto.

L’obbligo di motivazione

Di tale percorso valutativo, il giudice è tenuto a darne conto nella motivazione, dovendo dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti, nonché spiegare le ragioni della prevalenza eventualmente accordata solo ad alcuni di essi, rispetto a quelli, se presenti, di segno differente.
La decisione impugnata è stata perciò annullata con rinvio al giudice emittente, per un nuovo esame della questione relativa alla qualificazione giuridica della condotta incriminata alla luce del seguente principio di diritto: “l’ipotesi prevista e punita dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nei casi di minima offensività penale della condotta; in tale giudizio, debbono comunque essere tenuti in considerazione tutti i parametri richiamati dalla disposizione, sebbene sia possibile, all’esito di siffatta valutazione complessiva, assegnare anche ad uno solo di essi valenza prevalente su eventuali altri di segno contrario; ma, di tale suo percorso valutativo, il giudice deve dare conto in motivazione“.

La redazione giuridica

 
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