La difettosa tenuta della documentazione non vale a escludere la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del medico e le conseguenze dannose per il paziente

L’incompletezza della cartella clinica rendeva impossibile provare la sussistenza di un nesso causale tra le operazioni chirurgiche e il danno subito. Con questa motivazione la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado del Tribunale partenopeo, rigettando la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti di due medici per degli errori professionali commessi, secondo l’ipotesi accusatoria, in occasione di due interventi in sala operatoria.
I pazienti danneggiati ricorrevano quindi per Cassazione evidenziando come spettasse ai medici l’onere di dimostrare l’assenza del nesso causale, mentre essi avrebbero solamente dovuto allegare la documentazione attestante “il contratto o contatto sociale” con i medici, “l’aggravamento o l’insorgenza della patologia” e “l’inadempimento del debitore”.I ricorrenti, inoltre, sottolineavano come il giudice di secondo grado non avesse tenuto in adeguata considerazione le modalità di tenuta della cartella clinica, la cui incompletezza avrebbe dovuto essere valorizzata in senso opposto a quanto risultante dalla sentenza.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22639 del 13 ottobre 2016, ha accolto il ricorso presentato dai due pazienti in quanto fondato rimarcando, in particolare, come la Corte d’appello avesse erroneamente fatto gravare sui pazienti la responsabilità dell’incompletezza della cartella clinica, deducendo dalla medesima l’assenza del nesso causale tra intervento chirurgico e danno. Secondo gli Ermellini, invece, proprio l’incompletezza della cartella clinica rappresenta il presupposto che fa scattare la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, che ha l’obbligo di tenere in modo adeguato la cartella clinica.
La Suprema Corte aveva già stabilito, infatti, con la sentenza n. 10060 del 27 aprile 2010, che “la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno”. Pertanto, secondo i giudici del Palazzaccio, il giudice di secondo grado, aveva “pienamente invertito il contenuto dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità”; la sentenza d’appello, quindi, è stata annullata e la causa è stata rinviata alla stessa Corte, per una nuova pronuncia improntata sui principi chiariti dalla Cassazione.
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