Tra i sintomi della lipodistrofia c’è la magrezza estrema, e così, spesso, viene scambiata per anoressia: ecco in cosa consiste

Malattia estremamente invalidante e di difficile diagnosi, la lipodistrofia viene spesso scambiata per anoressia data l’eccessiva magrezza di chi ne è affetto.

Eppure, l’appetito, tra chi ne soffre, non manca. Anzi, a volte la fame è incontrollata.

Ma nella lipodistrofia il grasso si accumula dove non dovrebbe. Vale a dire nei muscoli e negli organi interni, più spesso all’interno di cuore e fegato. Con serie ripercussioni negative sulla salute: insulinoresistenza, diabete e ipertriglicliceridemia.

La lipodistrofia, in sostanza, è una malattia rara che comporta la perdita più o meno estesa del tessuto adiposo sottocutaneo.

“Ma la diagnosi – hanno spiegato gli esperti riuniti a Roma – non sempre è facile. E la terapia attuale non ancora risolutiva”.

Tuttavia, ci sono delle buone notizie per chi ne soffre, perché sul fronte delle terapia qualcosa sta cambiando.

In Europa l’Ema ha recentemente dato l’ok per l’immissione in commercio del primo trattamento farmacologico della lipodistrofia. Quest’ultimo era già disponibile negli Stati Uniti e in Giappone.

Dunque, all’Italia, non resta che aspettare l’autorizzazione dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) affinché il farmaco sia a tutti gli effetti disponibile per i pazienti.

Il nuovo farmaco è a base di leptina (ricombinante), l’ormone carente in chi soffre di lipodistrofia.

Questa terapia sebbene non faccia ricomparire il tessuto adiposo, consente di tenere a bada l’appetito vorace che caratterizza la patologia. Questo ha degli indubbi benefici a livello epatico e renale.

Finora, invece, la malattia era per lo più gestita con una terapia basata sull’insulina, proprio perché il diabete è una delle prime complicanze della lipodistrofia. Il tutto insieme a malattie cardiache e steatosi epatica.

La lipodistrofia in Italia

Nel nostro paese sono 250 persone, tra adulti e bambini, le persone affette da questa patologia, e spesso sono donne.

Sia per le forme ereditarie che per quelle acquisite, l’entità della perdita del tessuto adiposo può essere parziale o generalizzata (con una carenza quasi completa di grasso).

Secondo Ferruccio Santini, alla guida del Centro per le lipodistrofie di Pisa “a uno sguardo non attento o non esperto la lipodistrofia potrebbe essere scambiata per anoressia. Ma ovviamente nell’anoressia si ha una sofferenza tissutale generalizzata: non se ne va solo il grasso, soffre anche il muscolo e la pelle”. Una differenza fondamentale che non deve essere sottovalutata.

“Per questa ragione è fondamentale – prosegue Santini – aumentare la conoscenza di questa malattia non solo tra i pazienti, ma anche tra i medici, partendo ad esempio dalla condivisione delle informazioni all’interno del registro europeo del Corsorzio europeo delle Lipodistrofie, così da aumentare la casistica disponibile”.

Intanto, da circa un anno è nata l’Associazione italiana lipodistrofie (Ailip) per dare supporto ai pazienti e fornire informazioni utili sui centri italiani specializzati in questo campo.

Allo stato attuale, la patologia è inserita nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) come “lipodistrofia totale”, “una dicitura – spiega Andrea Lenzi, Professore di endocrinologia alla Sapienza di Roma e Presidente della Società italiana di endocrinologia – che non racchiude tutte le forme della malattia”.

Il rischio, dunque, è che alcuni pazienti possano beneficiare delle esenzioni e altri no.

Così gli esperti, insieme ad Ailip, hanno rinnovato l’appello di modificare la dicitura attuale con “sindromi lipodistrofiche”, una richiesta già presentata lo scorso anno – ma senza risposta – alla Commissione Nazionale Lea e al Ministero della salute.

 

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