Si può scegliere di nominare un CTP (Consulente Tecnico di Parte) se si è parte di un procedimento in cui il giudice nomina un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) per effettuare dei lavori peritali. La nomina di un CTU avviene prevalentemente nei casi di separazione, divorzio, affido di minori in cui la conflittualità tra le parti non è superabile in sede giudiziaria e si preferisce l’intervento di un esperto che arrivi ad una conclusione.
Qual è il ruolo del CTP?
Il CTP viene scelto direttamente dalla parte, dal cliente e si relaziona con il CTU, con l’avvocato di parte e la parte stessa, presenzia ai lavori peritali vigilandone la metodologia, analizza ed interpreta il materiale emerso dagli incontri, dagli eventuali test somministrati dal CTU, dialoga con il CTU fornendo spunti per approfondimenti. In conclusione, contemporaneamente al CTU, può presentare una relazione in cui può muovere dei commenti o delle obiezioni all’operato del CTU e che il giudice dovrà tenere in considerazione.
Il CTP, quindi, unisce competenze specifiche (conoscenza della psicologia giuridica, del corretto svolgimento di una CTU, dell’utilizzo dei test…), ad un saper fare clinico in grado di far emergere la specificità della situazione ed eventuali giochi vittima-carnefice che, aldilà di chi li attua, vanno sempre a discapito dei figli.
Il CTP ed il cliente devono aver ben chiaro che la prestazione erogata dal professionista psicologo all’interno di una consulenza, NON è una terapia. Sicuramente il consulente può aiutare a far prendere coscienza al cliente (che non a caso in questo contesto non si chiama paziente) del perché si sia arrivati ad una Consulenza tecnica d’ufficio, ma senza andare ad affrontare motivazioni riguardanti l’assetto psicologico o psicopatologico. Ad esempio in questo periodo sto affiancando come CTP un padre che vede il figlio solo tramite incontri protetti. Questo ragazzo ha un passato ormai lontano di uso di sostanze stupefacenti, che però è stato utilizzato dalla madre del figlio per allontanarlo dal bambino. In questo caso il mio compito non è indagare il suo passato, interrogarlo su cosa lo abbia spinto ad utilizzare delle sostanze, sostenerlo nella genitorialità o compiti simili, ma è evitare che il mio cliente prosegua in un continuo scarica barile, ma si assuma la responsabilità di una situazione che è degenerata in una CTU, (quasi mai si è coscienti della gravità della situazione e del fatto che i minori rischiano affidi a terzi o a case famiglia), ed accetti di collaborare e mettersi a disposizione per il bene del minore. Ecco, quello che dovrebbe stare a cuore ad un genitore dovrebbe essere il benessere del figlio, paradossalmente l’essere predisposti a fare un passo indietro per il suo bene piuttosto che innescare una gara tra genitori a chi “fa di più”. Credo che il CTP sia fondamentale in questo aspetto di “responsabilizzazione” del cliente.
Concludendo, quindi, credo che un “buon” CTP debba essere capace di lavorare in “scienza e coscienza”. Coscienza perché deve essere consapevole che chi paga il prezzo più alto sono sempre i minori che, prima o poi, ripresenteranno alla società il conto dei traumi subiti. Scienza, invece, perché deve essere un professionista formato nella psicologia giuridica e nell’utilizzo dei test, così da poter essere sempre un valido supporto “tecnico” per il CTU.
Dott.ssa Rosaria Ferrara
(psicologa Forense)
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