“Il detenuto che vuole partecipare all’udienza di riesame deve farlo presentando istanza”. Cass. n. 49882/2015. L’indagato detenuto o internato che intende partecipare all’udienza camerale dinanzi al giudice de libertate deve farne richiesta contestualmente all’istanza di riesame.

Pronunciandosi su una vicenda in cui il Tribunale del riesame di Brescia aveva rigettato l’eccezione di nullità dell’udienza camerale per omessa traduzione dell’indagato che ne aveva fatto richiesta, non avendo questi presentato la richiesta di partecipare all’udienza di trattazione, contestualmente all’istanza di riesame, la Corte di Cassazione con la Sent. n. 49882 del 2015 – nel rigettare – a sua volta – la tesi contraria ragionevolmente argomentata dalla difesa, secondo cui vi sarebbe stata nullità per la mancata partecipazione all’udienza camerale dell’indagato che ne aveva fatto richiesta, ha affermato che il combinato disposto dei commi 6 e 8-bis del novellato art. 309 c.p.p. va interpretato nel senso che il soggetto detenuto o internato, il quale intenda, anche per il tramite del suo difensore, esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza camerale, deve averne fatto richiesta nell’istanza di riesame.

Di seguito le argomentazioni della Corte

“L’art. 11 della legge 16 aprile 2015, n. 47 (recante “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 654, in materia di visita a persona affette da handicap in situazione di gravità”), entrata in vigore in data 8 maggio 2015, ha da un lato modificato il senso comma dell’art. 309, finora dedicato esclusivamente alle modifiche di presentazione (contestuale o successiva) dei motivi di gravame, disponendo in particolare che, con la richiesta di riesame, oltre a poter essere enunciati anche i motivi, “l’imputato può chiedere di comparire personalmente”. Dall’altro lato, il medesimo art. 11 ha aggiunto al comma 8-bis dell’art. 309, finora dedicato alla legittimazione del P.M. richiedente la misura a partecipare all’udienza camerale, il seguente ulteriore periodo: “L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente”.

Siffatta novità normativa si innesta in un sistema precedentemente regolato dall’ottavo comma dell’art. 309 c.p.p., mediante rinvio alle disposizioni dettate dall’art. 127 dello stesso codice che individua un modello generale a partecipazione c.d. non necessaria, potendo l’interessato – se compare – esser sentito, al contrario laddove questi sia detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione e ne faccia richiesta, ha diritto di esser sentito prima dell’udienza camerale dal magistrato di sorveglianza del luogo (art. 127, comma 3 c.p.p.).

Se questo è il contesto normativo di riferimento, la giurisprudenza maggioritaria è solita affermare il principio per cui la mancata traduzione dell’udienza camerale del detenuto fuori distretto (che ne abbia fatto richiesta) è causa di nullità assoluta e insanabile, senza che da ciò derivi tuttavia la perdita di efficacia della misura stessa (si veda, Sez. VI, n. 21849 del 21/5/2015, Farina, Rv. 263630; Sez. VI, n. 44415 del 17/10/2013, Blam, Rv. 256689; Sez. VI, n. 1099 del 4/12/2006, dep. 2007, Di Girolamo, Rv. 2356211; Sez. Unite, n. 35399 del 24/6/2010, F., Rv. 247835).

Ma non solo. In alcune recenti decisioni è stato, altresì, affermato il diritto di presenziare del detenuto fuori distretto, alla necessità “sostanziale” che la richiesta sia formulata “in modo tale da rendere manifesta la volontà di rendere dichiarazioni su questioni di fatto concernenti la propria condotta” (Cass.II, n. 6023 del 2/11/2014, dep. 2015, Di Tella, Rv. 262312).

Quanto, poi, alla tempestività della richiesta di traduzione, essa deve essere tale da non pregiudicare la celerità del procedimento e pertanto, la sua presentazione deve avvenire “nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza camerale dinanzi al Tribunale” (Sez. VI, n. 427120 del 4/10/2011, Ventrici, Rv. 251277; Sez. II, n. 20883 del 30/4/2013,Campo, Rv. 255819). Ciò in quanto, solo la “ragionevole immediatezza” che denota la “peculiarità della procedura (in esame), caratterizzata dalla ristrettezza dei tempi e dalla rilevanza della loro osservanza ai fini dell’efficacia stessa della decisione, individua il punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l’esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell’imputato maliziose o non giustificate” (n. 42710/2011 cit.)

Ebbene, le modifiche della legge n. 47/2015 sono intervenute proprio in questa direzione. Inequivoca è l’affermazione del diritto del ricorrente di comparire all’udienza camerale fissata per la trattazione, anche se eventualmente detenuto fuori distretto, così come parimenti inequivoca è la possibilità per lo stesso, di esercitare tale diritto strettamente correlato, alla formulazione della richiesta nell’atto di riesame. Ma allo stesso tempo non può sottacersi del chiaro “significato letterale delle disposizioni in commento, che subordinano il “diritto di comparire personalmente attribuito all’imputato – (espressione, quest’ultima che – a giudizio dei Supremi giudici – va intesa estensivamente ricomprendendovi anche l’indagato, ai sensi dell’art. 61, comma 1 c.p.p.) all’adempimento/condizione di averne fatto richiesta “ai sensi del comma 6”, ovvero contestualmente alla istanza di riesame (“Con la richiesta di riesame … l’imputato può chiedere di comparire personalmente”).

La ragione di siffata rigorosa scelta normativa – precisa la Corte – va ricercata nella finalità di dirimere ogni incertezza e ridurre al minimo la discrezionalità riservata ai giudici de libertate, in punto di individuazione della concreta nozione di “tempestività” della richiesta di comparire, sulla quale la Giurisprudenza di legittimità fino ad oggi era stata costretta ad intervenire individuando quale “punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l’esito del procedimento non fosse influenzato da condotte maliziose o non giustificate”.

Sono queste le argomentazioni che inducono la Suprema Corte di Cassazione, quest’oggi, a rigettare il ricorso così formulato dalla difesa, precisando ad ulteriore chiarimento, che l’intenzione del legislatore della novella, è stato proprio quello “di ancorare il diritto dell’indagato detenuto o internato a comparire all’udienza ad un dato obiettivo, certo e incontrovertibile – insuscettibile di interpretazioni “elastiche” e volto a prevenire eventuali atteggiamenti dilatori e/o di mera ostruzione – costituito dall’inserimento della richiesta di comparire nel corpo dell’istanza di riesame, che sia questa sottoscritta dall’interessato o dal suo difensore, parimenti legittimato a proporre l’istanza de qua ai sensi dell’art. 309, comma 3 c.p.p. ( e in conseguenza, parimenti legittimato a sensi dell’art. 99 c.p.p., a presentare, per conto del suo assistito, contestuale richiesta di comparizione personale all’udienza camerale).

Inammissibile ogni diversa e contraria interpetazione, che finirebbe col rendere il comma 8-bis norma inutiliter data, privandolo di qualsivoglia ambito applicativo, laddove nella specie, si voglia disancorare il diritto dell’interessato di comparire alla previa “richiesta ai sensi del comma 6”.

Per converso, l’interpretazione quest’oggi presentata dalla Suprema Corte di legittimità, trova giustificazione ulteriore, se raffrontata all’istituto dell’interrogatorio di garanzia quale strumento di difesa dell’indagato. La previsione del meccanismo di caducazione disciplinato dall’art. 302 c.p.p. (ogni qualvolta il giudice non proceda all’interrogatorio entro il termine perentorio fissato dall’art. 294 c.p.p.), nonché la breve distanza temporale che lo separa dall’udienza di riesame, denotano che “la presenza dell’indagato assume un rilievo in chiave difensiva di minore pregnanza, sia perché rimessa alla sua volontà, sia perché parimenti rimesso alla sua volontà è l’esercizio della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee in udienza, e ancora più perché dette dichiarazioni, proprio perché rese solo qualche giorno dopo l’interrogatorio di garanzia, nella stragrande maggioranza dei casi, se non altro, si risolvono nella pedissequa ripetizione di quando già espresso dinanzi al G.I.P. o in generiche affermazioni di innocenza”.

Si deve perciò concludere che non vi è lesione alcuna dei diritti di difesa dell’indagato, allorquando si subordini il diritto di quest’ultimo a comparire personalmente all’udienza camerale, alla previa richiesta da presentare contestualmente all’istanza di riesame. Quest’ultima vicenda giurisprudenziale e prima ancora normativa, risulta decisiva nella misura in cui rileva la complessità di valutazione in relazione alle singole esigenze di tutela emergenti.

Risulterà cosi decisiva la maggiore o minore sensibilità rispetto agli interessi in conflitto: da una parte la tutela del diritto dell’indagato e prima ancora quella del cittadino a difendersi, dall’altro, le altrettanto importanti esigenze di celerità e snellezza del procedimento dinanzi al giudice del riesame, mentre la discrezionalità del giudicante in questo dovrebbe essere al più possibile limitata.

Il problema del carattere qualificato degli interessi in gioco dovrebbe suscitare l’interesse della dottrina e della giurisprudenza alla chiarezza. A mio parere la specifica funzione della norma di tutelare due interessi primari quali quelli quest’oggi in rilievo (due interessi peraltro, costituzionalmente garantiti), da sola parrebbe necessaria ma non sufficiente. Non è semplice trovare immediate ed adeguate forme di equilibrio. Il legislatore positivo introduce spesso nuovi “strumenti” ma quasi mai “completa” la legislazione con rimedi espressi. Si pone dunque un problema di civiltà giuridica che richiede attenzione e necessità di offrire soluzioni alle esigenze sostanziali.

Avv. Sabrina Caporale

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