La Cassazione rinvia alla Corte d’appello la sentenza di condanna nei confronti di un anestetista; il Giudice di secondo grado non ha adeguatamente separato le competenze tra “fase di risveglio” e “fase di recupero”

La Corte di Cassazione , IV Sezione penale, con sentenza n. 8080/2017 ha posto una serie di precisazioni in merito al confine tra la responsabilità del medico e quella dell’infermiere nella fase post operatoria di un paziente. Gli Ermellini, in particolare, hanno rinviato per il riesame alla Corte d’Appello la pronuncia nei confronti di un anestetista e un infermiere, condannati entrambi alla pena di 6 mesi di reclusione, sospesa e condizionata al pagamento della provvisionale in favore delle parti civili, per il reato di lesioni personali colpose.
Gli imputati erano accusati, nello specifico, di non aver vigilato un paziente nella fase di risveglio al termine di una operazione chirurgica, e di non essersi pertanto accorti di un arresto respiratorio che aveva provocato un successivo arresto cardio circolatorio con lesioni gravissime derivate alla prolungata ipossia cerebrale e successivo stato di coma.
I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che il Tribunale di secondo grado avrebbe dovuto scindere la posizione dei due professionisti confermando la responsabilità dell’infermiere ma escludendo quella dell’anestetista. La Cassazione sottolinea che la Corte territoriale ha fatto si ampio riferimento alle linee guida e ai protocolli operativi vigenti nell’ospedale come prescritto dalla legge, ma ha poi concluso affermando che “una attenta vigilanza e un intervento di rianimazione tempestivo da parte degli imputati (l’anestesista e l’infermiere, ndr), effettuato nell’immediatezza dell’insorgenza dell’arresto respiratorio e non dopo un periodo di tempo di almeno dieci minuti come nel caso in esame, avrebbe evitato con elevato grado di probabilità le lesioni gravissime e il conseguente stato di coma irreversibile ” e che da ciò deriva “l’estrema gravità della condotta tenuta dagli imputati, i quali hanno disatteso l’obbligo di vigilanza su di essi gravante, e le irreversibili conseguenze derivanti a seguito della loro condotta sulla salute del paziente”.
Tuttavia i Giudici d’appello avrebbero sovrapposto due differenti posizioni di garanzia senza chiarire quale avrebbe dovuto essere, in base alle linee guida e dei protocolli operativi, il “diligente comportamento alternativo corretto”, quale sia stata la “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato definito dalle standardizzate regole d’azione”, in che misura si è realizzata la divergenza tra la condotta tenuta e quella che era da tenere e quanto fosse rimproverabile la condotta tenuta sulla base delle condizioni, quale fosse la motivazione della condotta e se sia stato compreso o meno di tenere una condotta pericolosa o negligente “ovvero imperita”.
Tale errore ha determinato, secondo la Cassazione, un difetto di motivazione sulla valutazione del grado della colpa. In secondo grado di giudizio, infatti, non è stata tenuta nella giusta considerazione la distinzione esistente tra “fase di risveglio” e “fase di recupero”; “la prima affidata in via prioritaria al medico che deve intervenire con le manovre tecniche necessarie a ripristinare le normali funzioni vitali (nella specie correttamente assolta), la seconda affidata prioritariamente al personale infermieristico, per la quale è richiesta la assidua sorveglianza del paziente per controllare l’evoluzione della situazione e sollecitare l’intervento del medico ove necessario”.
La sentenza d’appello “si è limitata ad affermazioni generiche sull’obbligo di sorveglianza da parte del medico, ritenendolo anche nella ‘fase di recupero’ del tutto identico e sovrapponibile a quello dell’infermiere, come se fosse necessaria la presenza costante di entrambi gli operatori, mentre appare invece ragionevole ritenere che la sorveglianza, da effettuare è vero in modo diretto e costante per tutto il tempo in cui il paziente è trattenuto negli spazi del recupero, può essere assicurata da uno solo dei due soggetti e anzi prioritariamente dall’infermiere”.
Nel caso in esame, l’anestesista si è allontanato dalla stanza quando il paziente era già nella “fase di recupero” per completare lo scarico dei farmaci lasciando l’infermiere che, come si deduce dalla sentenza impugnata, si è allontanato in un momento successivo; pertanto, ove tale ricostruzione dei fatti sia corretta, occorrerà valutare, secondo i Giudici del Palazzaccio, se sia comunque “ravvisabile colpa grave” nel comportamento dell’anestesista.

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