L’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente

La vicenda

Nel 2016 la Corte d’appello di Cagliari, aveva respinto il gravame interposto da due coniugi in relazione alla pronuncia del giudice di primo grado, di rigetto della loro domanda di risarcimento danni lamentati in conseguenza della nascita della loro figlia affetta da ectromelia dell’arto superiore destro.

L’azione era stata esercitata contro due medici nonché contro l’ASL, per la mancata rilevazione, “della situazione di aplasia di cui era portatore il feto, in sede di esami ecografici eseguiti dapprima presso il loro studio professionale e poi, presso l’Ospedale.

I due genitori lamentavano, dunque, la condotta negligente ed imperita dei medici e della struttura sanitaria evocati i giudizio, nonché il carattere ____ dell’omissione diagnostica, il mancato rispetto delle linee guida vigenti all’epoca dei fatti, il carattere degli esami e delle visite praticate e la mancanza di consenso informato.

L’obbligo del consenso informato

La Terza Sezione della Cassazione (sentenza n. 16892/2019) si è pronunciata sulla vicenda in esame, ricordando innanzitutto che “l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è – al di fuori dei casi si trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente.

(…) Esso è a carico del sanitario, il quale una volta richiesto dal paziente l’esecuzione di un determinato trattamento decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso”.

Trattasi di un obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stessi, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, al fine di porre quest’ultimo in condizione di consapevolmente consentire al trattamento sanitario prospettatogli.

Il medico ha pertanto, il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente”.

Trattasi, infatti, di due distinti diritti.

Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, anche in ordine –come detto –alle conseguenti implicazioni verificabili, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti del rispetto della persona umana (art. 32, 2° comma, Cost.).

Il trattamento medico terapeutico ha viceversa, riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1° comma, Cost.).

Ne consegue che la mancata acquisizione, da parte del sanitario, del consenso informato del paziente costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento medico, sicché in ragione della diversità dei diritti – rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi, si ha luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per l’errata esecuzione di quest’ultimo.

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, era stato accertato che i due ricorrenti, sin dal primo grado, avessero domandato il risarcimento dei danni lamentati in conseguenza, oltre che della “nascita indesiderata”, anche della “mancata informazione” della patologia affettante il feto.

Sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado avevano domandato il risarcimento di tutti i danni conseguiti alla lamentata omessa diagnosi della malformazione fetale della piccola neonata.

Ma sia il tribunale che la corte d’appello si erano pronunciati esclusivamente in ordine ai danni da mancata interruzione della gravidanza, nella mancanza di prova in ordine alla volontà della donna di non portare a termine la gravidanza in presenza di specifiche condizioni facoltizzanti.

Detto in altri termini, sia il giudice di primo grado che la corte di merito nell’impugnata sentenza, si erano pronunciati solo sulla violazione del “diritto dei genitori ad essere informati al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni, che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, anche materialmente all’arrivo di un figlio menomato”.

Ma si trattava, tuttavia, “di un diritto altro e diverso da quello all’esecuzione della prestazione medica da cui potevano derivare conseguenze anche altre e diverse da quella concernente il riverbero della mancata informazione sulla possibilità di interruzione della gravidanza”.

Per tali ragioni, la decisione impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari che, in diversa composizione darà luogo a un nuovo esame.

La redazione giuridica

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