L’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sé inattendibile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni

La vicenda

Il Tribunale del Riesame di Salerno aveva annullato l’ordinanza con cui era stata applicata nei confronti dell’imputato, accusato di stalking, la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa ed ai luoghi da essa o dai suoi familiari frequentati, “con la prescrizione di mantenersi comunque alla distanza di almeno un chilometro dalla persona offesa, e dai suoi congiunti e di non contattarla in alcun modo”.

Contro tale provvedimento il Pubblico Ministero aveva presentato ricorso per Cassazione, deducendo il vizio di motivazione, per aver il Tribunale del tutto omesso di considerare le ragioni fondanti il provvedimento cautelare, nonché per aver trascurato la giurisprudenza di legittimità che, univocamente, ha affermato il seguente principio: “l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere nei quali abbia ripristinato il dialogo con il persecutore”.

Peraltro, era emerso che anche dopo le date degli incontri col suo persecutore, la vittima l’avesse nuovamente denunciato.

Il ricorso per Cassazione

I giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 26418/2019) hanno accolto il ricorso dell’accusa perché fondato.

“La giurisprudenza di legittimità  – si legge in sentenza – pacificamente ritiene che, nell’ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex convivente, l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui abbia ripristinato il dialogo con il persecutore o in cui abbia ipotizzato una rivalutazione del passato o abbia avvertito il desiderio di pacificazione con il persecutore”.

Rimane fermo ovviamente, in tal caso, l’obbligo di idonea motivazione sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca del suo racconto, che, nel caso delle dichiarazioni della persona offesa (…), deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012).

I giudici della Cassazione hanno, pertanto, affermato di condividere “l’idea che in tema di valutazione della prova testimoniale, l’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sé inattendibile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni in seno al contesto degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice”.

In un caso analogo, la Suprema Corte (Sez. 6, n. 31039 del 13/5/2015) ha ritenuto corretta la sentenza impugnata che aveva giudicato credibili le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa di violenze sessuale in danno del proprio partner, cui, nonostante le violenze subite, era rimasta accanto “sia per paura, sia perché gli voleva bene”.

La decisione

Ed invero, nel caso in esame, la decisione del Tribunale del Riesame non solo era contraria ai citati precedenti giurisprudenziali, ma era altresì carente nella motivazione, in ordine agli “ulteriori elementi di gravità indiziaria emersi nel corso dell’indagine”.

Il Riesame non aveva considerato “le molte telefonate (anche novanta in un giorno solo), i messaggi di molestia (fino a 250 in un giorno solo), le minacce di fare del male all’ex fidanzato della vittima ed a lei stessa, la pubblicazione di foto e conversazioni private della vittima sui social network, la reiterazione con cui tali condotte venivano poste in essere in un consistente periodo temporale e le corrispondenti, numerose denunce che, di volta in volta, la vittima aveva proposto alle autorità di polizia.

In definitiva, la Cassazione ha aggiunto che “i rapporti, che si creano tra vittima e persecutore, nel contesto di una relazione sentimentale inquinata dai comportamenti vessatori ovvero nell’ambito di tentativi di ripristino di un rapporto di convivenza o di una relazione oramai interrotta, devono essere letti nella loro complessità, poiché la configurabilità giuridica della fattispecie è legata alla valutazione di sussistenza di precisi fattori di ordine oggettivo e soggettivo e prescinde da qualsiasi condizionamento di essi da parte di circostanze che appartengono, invece, alla sfera meramente sentimentale e volitiva dei rapporti umani”.

“Viceversa, non corrisponde a tale impostazione, né ai principi sopradetti, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, escludere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato in ragione del rilievo negativo costituito da alcuni incontri notturni con l’indagato in un albergo, nel periodo di riferimento della denuncia del reato: il tentativo, attraverso tale transitorio ed episodico riavvicinamento, era infatti soltanto, quello di tranquillizzare l’ex compagno su una possibile riconciliazione, che costituiva l’obiettivo della sua condotta persecutoria.

Avv. Sabrina Caporale

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