Non vi è alcuna illegittimità nell’utilizzo, in un processo penale per presunti atti di violenza sessuale su minore, degli screenshot
che riproducono i messaggi sms inviati dall’imputato alla vittima

La Corte d’appello di Brescia aveva condannato l’imputato in ordine al reato di violenza sessuale commesso ai danni di una minore.

Contro tale sentenza la difesa ha proposto ricorso per cassazione denunciando, in primo luogo, l’inutilizzabilità della prova – a sua detta acquisita irritualmente – costituita dai messaggi sms pervenuti sul telefono cellulare della madre della vittima e solo fotografati, con la conseguente incertezza in ordine alla loro provenienza, sia per la mancata disposizione di una perizia informativa volta ad accertarne il mittente, sia a causa della mancanza di qualsiasi elemento idoneo a collegare l’utenza telefonica dalla quale erano stati inviati; in secondo luogo, lamentava l’assoluta insussistenza degli elementi costitutivi del reato, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale, sentenza n. 8332/2020) ha ritenuto priva di fondamento la doglianza relativa all’inutilizzabilità degli screenshot quale prova del reato contestato.

L’imputato, infatti, pur prospettando l’illegittimità della acquisizione di detta prova, non ne aveva illustrato il rilievo e l’incidenza nel complesso della struttura giustificativa della sentenza, con conseguente carenza di specificità della censura.

Peraltro, le immagini riprodotte in giudizio erano state confermate da altri e concordanti elementi di prova, tra cui soprattutto, le univoche dichiarazioni della persona offesa, che aveva più volte ribadito il racconto dell’episodio in modo coerente, mantenendo ferma la descrizione della condotta dell’imputato.

Ad ogni modo, la giurisprudenza della Suprema Corte ha, più volte affermato, che non esiste alcuna illegittimità nella realizzazione di una fotografia dallo schermo di un telefono cellulare, sul quale compaiano messaggi sms, allo scopo di acquisirne la documentazione, non essendo imposto dalla legge alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste, sostanzialmente, nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza solamente per il suo oggetto, costituito, appunto, da uno schermo sul quale siano leggibili messaggi di testo, non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto, con la conseguente legittimità della sua acquisizione.

Parimenti infondate sono state ritenute le censure relative agli elementi costitutivi del reato.

Invero, la corte d’appello aveva correttamente escluso la sussistenza di qualsiasi elemento che potesse indurre nell’agente il convincimento della esistenza di un consenso da parte della vittima, stante il fastidio immediatamente manifestato dalla ragazza per gli approcci dell’uomo che all’epoca aveva 60 anni, mentre ella ne aveva meno di 14 e l’inverosimiglianza delle esistenza di una disponibilità da parte di quest’ultima agli atti di violenza sessuale in cambio di una ricarica telefonica del valore di 70 euro: “si tratta [infatti] di considerazioni conformi a consolidate massime di esperienza (tra cui quella relativa alla incidenza di una grande differenza anagrafica, pari, nella specie, a oltre 45 anni, nei rapporti personali e sessuali) e pertanto, immuni da vizi.

La redazione giuridica

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