L’intervento di vitrectomia per foro maculare era quello più indicato ed è stato correttamente eseguito senza complicanze post operatorie dirette (Tribunale di Velletri, Sez. II, Sentenza n. 1842/2021 del 1 4/10/2021-RG n. 6808/2016)

Il paziente cita a giudizio la Struttura e il Medico deducendo che lo stesso ivi si era recato per l’esecuzione di un intervento di vitrectomia per foro maculare occhio sinistro; che era affetto da miopia bilaterale; che visitato dal proprio oculista di fiducia nell’aprile 2013, aveva un deficit all’occhio sinistro di – 3,25 per distanza e -0,50 per lettura; che si era quindi sottoposto al predetto intervento in data 13.9.13.

Durante l’intervento veniva inserito all’interno dell’occhio un gas che si sarebbe dovuto riassorbire in 15 giorni; che durante il periodo post operatorio, si era visto costretto a passare molto tempo a testa in giù al fine di consentire il riassorbimento del gas somministrato durante l’intervento; che l’occhio in questione appariva tumefatto e sanguinante.

Al controllo post-operatorio riferiva al personale di non vedere nulla dall’occhio operato; al successivo controllo, eseguito a 7 giorni dal primo, il gas somministrato risultava assorbito ma l’occhio operato continuava a non vedere.

L’attore veniva rassicurato che occorreva attendere ancora 2 mesi per vedere l’esito dell’intervento; che in data 14.3.14 veniva confermato il buon esito dell’intervento, risultando richiuso il foro maculare, ma l’attore continuava a non vedere dall’occhio operato.

Conseguentemente deduce di avere subito un danno dall’intervento eseguito in data 13.9.13 da quantificare nella misura del 18% quale maggior danno rispetto alla condizione preesistente.

Esaurita la fase istruttoria, il Tribunale non ritiene fondata la domanda.

La responsabilità della struttura sanitaria per i danni subiti dal paziente in conseguenza della non corretta esecuzione della prestazione medica ha natura contrattuale in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall’art. 2 legge n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle “lato sensu alberghiere”.

Conseguentemente, “in presenza di contratto di spedalità, la responsabilità della struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d’inadempimento sia per quanto concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell’art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi.”

Ciò posto, il paziente lamenta da una parte la mancata acquisizione del consenso informato, dall’altra l’errore professionale del personale nell’esecuzione dell’intervento, nella preparazione preoperatoria e nel decorso post operatorio.

Risulta infondata la domanda relativa alla mancanza di consenso informato per mancanza di prova del nesso di causalità tra l’inadempimento (omesso consenso informato) e il danno biologico lamentato.

L’acquisizione del consenso informato del paziente attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole autodeterminazione al trattamento sanitario proposto dal medico e al diritto alla salute in ragione del quale nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario senza il proprio consenso.

La mancata acquisizione del consenso informato del paziente assume rilevanza autonoma rispetto alla prestazione medica ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in capo al medico, atteso che nessuno può essere sottoposto ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, neanche ove tale trattamento sia posto nell’esclusivo interesse del paziente.

A prescindere dell’accertamento di una responsabilità medica in capo ai convenuti, ove tale consenso non sia stato acquisito, ovvero sia stato acquisito a fronte di una informativa non completa ed esaustiva, il trattamento sanitario praticato deve essere considerato illegittimo e pertanto fondante il diritto del paziente al conseguimento del relativo risarcimento del danno, anche quando tale intervento sia stato eseguito correttamente.

Ad ogni modo, la doglianza sul punto non è fondata atteso che è il paziente stesso ad allegare la scheda prestampata relativa all’acquisizione per l’intervento del consenso informato e il relativo modulo, per quanto redatto secondo un modello standard, indica compiutamente la tipologia della patologia, foro maculare, con descrizione dell’operazione eseguita, vitrectomia, ed l’evoluzione del postoperatorio abituale e quindi in particolare con indicazione della “posizione forzata nel periodo postoperatorio” da tenere per 8/15 giorni a seconda dei casi nonché “la presenza di altre lesioni e limitazioni del recupero della vista”.

Ergo, il paziente era stato edotto del decorso post operatorio e della possibilità di non vedere migliorato il visus al suo esito.

Ne consegue che il consenso prestato dall’attore mediante la sottoscrizione del modulo viene ritenuto validamente prestato.

Il CTU ha osservato che “l’attuale stato di salute dell’occhio sinistro è stato determinato non già dall’esecuzione dell’intervento oggetto di causa, correttamente eseguito in forza di diagnosi corretta e terapia adeguatamente scelta, ma è dipeso da una complicanza legata alla condizione preoperatoria dell’occhio in questione”.

In particolare, il CTU ha ritenuto che tale complicanza “prevista e non prevenibile, cioè una atrofia retinica centrale maculare” era “legata alla miopia elevata ed allo stafiloma miopico” e non all’exitus dell’intervento oggetto di causa. ….. “si è verificata una complicanza prevista e non prevenibile, cioè una alterazione della retina e della circolazione sottoretinica, che causa uno scotoma ampio centrale. Tale alterazione è stata predisposta dalla miopia elevata e dallo stafiloma miopico da cui l’attore era affetto preoperatoriamente, miopia elevata che era stata corretta in tempi antecedenti mediante intervento di esportazione del cristallino ed introduzione di IOL”.

In altre parole, la complicanza che ha determinato la perdita del visus dell’occhio sinistro dell’attore non è ricollegabile quale conseguenza immediata e diretta nè all’intervento, corretto nella sua indicazione e nella sua esecuzione, né alla patologia di foro maculare, risolta pienamente con l’intervento oggetto di causa, ma è la conseguenza dello stato di salute preoperatorio dell’occhio del paziente in quanto già gravato da una elevata miopia.

Come concluso dal CTU invero “l ‘unico intervento possibile in un caso del genere era o intervenire chirurgicamente o attendere passivamente il successivo peggioramento, che, proprio in base all’OCT eseguito preoperatoriamente ed alla accertata diminuzione del visus si sarebbe comunque realizzato”.

Quindi, l’intervento eseguito era quello più indicato e che lo stesso è stato correttamente eseguito, senza complicanze post operatorie dirette.

Per tali ragioni non viene considerata raggiunta la prova richiesta per il riconoscimento dei danni invocati dall’attore in quanto non appare verosimile che, stante lo stato di miopia dell’occhio (con visus alla data dell’intervento di 3/10 e quindi già gravemente compromesso) e della patologia del foro maculare, il paziente si sarebbe discostato dalle indicazioni del proprio medico.

Eguali considerazioni per il dedotto inadempimento del Medico anche per non corretta gestione della fase preoperatoria.

Correttamente gestita anche la fase post operatoria, come confermato dal CTU.

La domanda dell’attore viene integralmente rigettata con condanna al pagamento delle spese di lite per euro 5.100,00 oltre spese e accessori.

Avv. Emanuela Foligno

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