La responsabilità del sinistro stradale sarebbe imputabile, quantomeno in via concorrente, al Comune e alla società affidataria del servizio di manutenzione delle strade e della segnaletica, le quali, nonostante l’abolizione dell’attraversamento pedonale, non ne avevano rimosso i segni esteriori.
Entrambi i Giudici di merito e la Cassazione rigettano la domanda (Cassazione Civile, sez. III, 13/03/2024, n.6733).
I fatti
Nel 2012 il motociclista danneggiato conveniva, dinanzi al Tribunale di Palermo, il Comune di Palermo e l’AMAT Spa, chiedendone la condanna solidale al pagamento della somma di 100.000 euro, a titolo di risarcimento. Chiedeva i danni patiti a causa del sinistro stradale verificatosi a Palermo l’11/7/2008, allorquando, alle ore 8:35 circa, mentre percorreva il viale Regione Siciliana a bordo del suo motociclo, giunto all’altezza del civico 2257, si era imbattuto in un pedone e, al fine di evitarlo, era stato costretto a eseguire una manovra di emergenza, che gli aveva fatto perdere il controllo del mezzo, cagionandogli danni sia fisici che materiali.
Il pedone aveva attraversato improvvisamente la strada, violando il segnale rosso del semaforo che regolava la circolazione, in un momento in cui la strada era intensamente trafficata e in un punto in cui l’attraversamento era vietato. Il pedone, però, si era così comportato perché indotto in errore dalla presenza dei resti di un passaggio pedonale abolito da tempo, consistenti in strisce pedonali scolorite e in uno scivolo destinato a consentire l’attraversamento dei disabili. Sosteneva, pertanto, che la responsabilità dell’accaduto era imputabile, quantomeno in via concorrente, al Comune e alla società affidataria del servizio di manutenzione delle strade in quanto creavano per i pedoni una situazione di apparenza di un passaggio pedonale in realtà inesistente di diritto ed invisibile ai mezzi meccanici in transito come la moto dell’attore.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Palermo rigettava la domanda proposta perché dalla fase istruttoria era emerso che, al momento dell’attraversamento, l’impianto semaforico non proiettava luce rossa, che il pedone, prima di intraprendere l’attraversamento, aveva segnalato la sua intenzione ai veicoli in transito, i quali si erano fermati. Inoltre le strisce pedonali presenti in loco non erano sbiadite, ma ben visibili agli utenti della strada. Rilevava, inoltre, che dalla documentazione acquisita risultava che era stato abolito il passaggio pedonale all’altezza del civico n. 2257 del viale Regione Siciliana, mentre, in base al rapporto della Polizia Municipale, l’incidente si era verificato all’altezza del civico n. 2237.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1364/2021, rigettava l’appello e confermava la sentenza del giudice di primo grado, anche se sulla base di considerazioni parzialmente differenti.
I Giudici evidenziavano che tutti gli attraversamenti non assistiti da semaforo del viale Regione Siciliana erano stati aboliti con ordinanza del 2006. Tuttavia, all’epoca del sinistro (luglio 2008), in corrispondenza del civico n. 2257, non erano stati ancora eliminati i segni esteriori, che individuavano il luogo destinato all’attraversamento pedonale. In data 10 settembre 2008 (e, dunque, circa due mesi dopo il sinistro) veniva ripristinato l’attraversamento pedonale situato all’altezza del civico n. 2257, su richiesta di una scuola locale. Le fotografie prodotte in giudizio dal motociclista ritraevano i luoghi in data significativamente successiva all’epoca del sinistro.
Ma, soprattutto, i Giudici avvaloravano la testimonianza del pedone che aveva riferito che le strisce pedonali non soltanto non erano state cancellate e non si erano schiarite, ma erano ancora perfettamente visibili. Lei aveva segnalato ai veicoli in transito la sua intenzione di attraversare la strada; i veicoli in transito si erano fermati per consentirle l’attraversamento; l’investimento era avvenuto quando ormai aveva completato l’attraversamento e si trovava in prossimità del marciapiede opposto).
Il ricorso in Cassazione
In Cassazione il motociclista, in sintesi, sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto: dapprima, verificare se i convenuti avevano provato di essere esenti da colpa (ponendo in essere la dovuta condotta diligente richiesta dal caso concreto, cioè di avere cancellato i segnali stradali ed i manufatti ormai aboliti) e, solo dopo aver compiuto detto accertamento, avrebbe potuto eventualmente addentrarsi sull’eventuale sua colpa (o concorso di colpa) nella causazione del sinistro, come fattore esimente integrante gli estremi del caso fortuito.
Al contrario, la corte territoriale ha ritenuto (del tutto immotivatamente, secondo il ricorrente) la sua responsabilità esclusiva nel sinistro, tralasciando completamente di considerare l’incidenza causale che aveva avuto la condotta colpevole del Comune e dell’AMAT sull’attraversamento del pedone, invero, detti enti, nel violare i loro doveri di cancellare la segnaletica non più in uso, avevano tratto in inganno il pedone inducendolo ad attraversare là dove non si poteva e dove lui non si aspettava alcun attraversamento.
Le doglianze non si confrontano con la ratio della sentenza d’appello. Il motociclista, suppone una violazione dell’art. 2051 c.c. in tema di responsabilità del custode, ovvero il mancato riconoscimento di una tutela aquiliana ex art.2043 c.c., ma la responsabilità dell’Ente Proprietario di una strada aperta al pubblico transito, sia ai sensi dell’art. 2051 che dell’art. 2043 c.c., presuppone che parte attrice dimostri rigorosamente, ai sensi dell’art. 2697 c.c., il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno. Tale correlazione viene esclusa in ipotesi di rilevanza causale, esclusiva o concorrente, delle condotte del danneggiato o di terzi nell’evento che siano non prevenibili secondo la normale regolarità causale, in quanto costituenti violazione dei doveri minimi di cautela, la cui osservanza è esigibile da parte degli utenti e la cui violazione è da considerarsi, da un punto di vista di regolarità causale, non prevedibile né prevenibile.
La condotta alla guida del motociclista era stata imprudente
Ebbene, la Corte d’Appello ha attribuito al motociclista la esclusiva responsabilità del sinistro per effetto di una condotta di guida che è stata ritenuta comunque imprudente in relazione alla conformazione dello stato di fatto dei luoghi ed alla loro apparenza, indipendentemente dalla corrispondenza, o meno, di quello alle condizioni che lo avrebbero reso legittimo anche in punto di diritto.
La condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado d’incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, primo comma, c.c.., e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. E’ sufficiente che si tratti di una condotta colposamente incidente.
Tali principi sono stati correttamente applicati nel caso di specie. Il punto fondamentale è che a fronte di veicoli già fermi sulla carreggiata, il motociclista avrebbe dovuto, quantomeno allarmarsi considerato che i veicoli che lo precedevano si erano arrestati e comunque avrebbe dovuto tenere una condotta di guida che gli avrebbe dovuto consentire di arrestare repentinamente il mezzo in condizioni di sicurezza, ove ciò fosse stato necessario, evidentemente facendogli correttamente carico di non avere evitato le conseguenze della presenza sul luogo del pedone, a prescindere dalle ragioni per le quali questa si fosse verificata.
Avv. Emanuela Foligno