La nozione di “parte della sentenza” cui fa riferimento l’art. 329, comma secondo, cpc., dettato in tema di acquiescenza implicita a cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le “statuizioni minime” costituite dalla sequenza fatto (Corte di Cassazione, II civile, ordinanza 27 marzo 2025, n. 8088).
I fatti
Con sentenza n. 1594/2013, il Tribunale di Catanzaro accoglie l’opposizione – poi proseguita dalle sue eredi – avverso il decreto ingiuntivo di pagamento, in favore dell’Ingegnere che si era occupato della redazione del piano di lottizzazione di alcuni terreni siti in San Pietro Apostolo, approvato con delibera consiliare n. 9/1995.
Il Tribunale ha ritenuto insussistenza di prova del conferimento dell’incarico professionale di cui era stato chiesto il compenso. Inoltre ha ritenuto che la prova orale articolata sul punto dall’ingegnere dovesse ritenersi rinunciata, perché all’udienza del 12 febbraio 2004, successiva alla scadenza dei termini ex art. 183 cod. proc. civ., non era stata reiterata la richiesta di concessione dei termini di cui all’articolo 184 cod. proc. civ., ma, al contrario, erano state precisate le conclusioni e soltanto dopo sette udienze di rinvio, in data 15 ottobre 2007, era stato chiesto il suddetto termine ex art. 184 c.p.c., quando ormai le richieste istruttorie erano precluse.
La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato il primo grado, rilevando che il contribuente non aveva tenuto conto del fatto che il primo Giudice aveva ritenuto che non era stato il proprietario dei terreni a conferire l’incarico, ma l’agente immobiliare incaricato di procedere alla lottizzazione e che la domanda ex art. 2041 cod. civ. era stata dichiarata inammissibile in quanto domanda riconvenzionale non conseguente alla difesa di parte opponente.
L’intervento della Corte di Cassazione accoglie parte delle censure della ricorrente
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe considerato inammissibili il mancato riscontro dello svolgimento dell’incarico professionale e della consistenza delle prestazioni svolte non fosse ammissibile in quanto formulata in violazione delle prescrizioni dell’art. 342 cod. proc. civ.; la congruità delle somme pretese
Queste doglianze vengono respinte.
La Corte d’appello ha ritenuto l’inammissibilità delle prime tre censure perché il dato essenziale posto a base del rigetto della richiesta di pagamento formulata dal professionista è stato individuato nella mancata dimostrazione di conferimento dell’incarico da parte dell’opponente. In particolare, ha rilevato che, nella formulazione dell’impugnazione, pareva “difettare la comprensione dei punti nodali della decisione”, sicché le tesi svolte non “aggredivano in maniera simmetrica il tessuto motivazionale della pronuncia impugnata”.
Ha sottolineato, inoltre, che in nessuna parte della sentenza di primo grado era stata posta la questione della effettività dello svolgimento dell’incarico e della sua consistenza, né della congruità degli importi pretesi, perché il Tribunale si era fermato a rilevare che il “creditore”, a fronte della negazione dell’avvenuto conferimento dell’incarico, non aveva fornito alcun elemento probatorio in suo favore. In tal senso, allora, è stata ritenuta inconferente, rispetto alla decisione, secondo cui il Tribunale non avrebbe considerato i documenti acquisiti nel fascicolo.
La doglianza non è fondata. La Corte territoriale ha reso una motivazione coerente in fatto e in diritto, perché effettivamente il rigetto della domanda era stato fondato dal Giudice di primo grado unicamente sulla mancanza di prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico da parte dell’ingiunto opponente, senza alcuna statuizione in merito all’espletamento dell’incarico o alla quantificazione dei compensi.
L‘acquiescenza per una “parte della sentenza”
Non vi è la necessità, prospettata nei motivi di ricorso qui in esame, di riproporre le questioni per scongiurare la formazione del giudicato. La nozione di “parte della sentenza” cui fa riferimento l’art. 329, comma secondo, cpc., dettato in tema di acquiescenza implicita a cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le “statuizioni minime” costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia. Conseguentemente l’appello, motivato con riguardo a uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.
Con ulteriore censura l’attore censura la sentenza per avere la Corte siciliana ritenuto non sufficientemente argomentata la censura avverso la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di prova testimoniale sulla sussistenza del vincolo contrattuale con l’opponente proprietario del terreno.
Questa censura è fondata.
La dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di prova testimoniale
La Corte d’appello ha disatteso il motivo di impugnazione che aveva censurato la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di prova per testi, ritenendo sul punto, che “difettasse la concreta allegazione delle positive conseguenze in tesi ridondanti in caso di emanazione del diverso provvedimento invocato”.
Così argomentando, la Corte siciliana ha, in effetti, reso una motivazione meramente apparente perché non ha esaminato le ragioni di censura alla dichiarazione di inammissibilità della prova come espressa dal Tribunale, limitandosi ad affermarla come conforme a diritto, senza sindacarne l’effettiva corrispondenza ai principi sulla proposizione delle istanze istruttorie nei termini ex art. 184 cpc., nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Proprio il Giudice di primo grado, con l’ordinanza del 20/3/2003, sciogliendo la riserva formulata sull’istanza di concessione di termini ex art. 184 cpc, aveva, invece, invitato le parti a precisare le loro conclusioni esclusivamente sulla questione pregiudiziale di litispendenza del giudizio di opposizione con altro giudizio instaurato tra le stesse parti, dinnanzi alla Sezione stralcio dello stesso Tribunale.
La rivalutazione della presunzione di rinuncia alle istanze istruttorie
In tal senso, la presunzione di rinuncia fondata dal primo Giudice sulla mancata reiterazione della istanza ex art. 184 cpc in quella udienza di precisazione delle conclusioni non è stata correttamente motivata.
Quando la causa viene trattenuta in decisione per decidere immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ai sensi dell’art. 187 cpc il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le istanze istruttorie già formulate non consente al giudice di ritenerle abbandonate, se una volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco.
La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto provvedere alla rivalutazione della presunzione di rinuncia alle istanze istruttorie come ritenuta dal primo Giudice e allo scrutinio dell’ammissibilità della istanza in riferimento ai fatti richiamati e cioè, alla riproposizione della richiesta sia dopo alcuni “meri rinvii”, sia nella udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, sia in atto di appello e, poi, nella precisazione delle conclusioni di secondo grado.
In accoglimento di questa ultima censura, la sentenza viene cassata con rinvio.
Avv. Emanuela Foligno