Complicanze nell’intervento e negligenza del medico

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Il chirurgo, in servizio presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, aveva effettuato una procedura di colangio-pancreatografia-retrograda-endoscopica (CPRE) su paziente ricoverata per calcolosi della colecisti e del coledoco con ittero. A causa di complicanze nell’intervento, il medico lo ha opportunamente sospeso per rischi correlati con le manovre che si sarebbero rese necessarie per l’asportazione completa (estrazione o litotrissia). Però per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza, aveva omesso di posizionare un sistema di drenaggio della via biliare (tipo stent o sondino naso-biliare) che permettesse il deflusso della bile e di prevenire il rischio di infezione.

Le complicanze nell’intervento

In questo modo era insorta una colangite acuta grave, foriera di uno stato settico persistente, nel cui contesto insorgevano anche i focolai bronco-pneumonici, cui conseguiva l’insufficienza respiratoria che aveva determinato il decesso della paziente il 20 luglio 2010.

La Corte di Appello di Roma ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del chirurgo perché il reato è estinto per prescrizione e ha confermato le statuizioni civili di condanna nei confronti della parte civile costituita.

Il medico propone ricorso per Cassazione censurando la sentenza sia agli effetti penali che civili.

In particolare censura che la Corte di appello, pur avendo disposto una perizia, in aderenza alle richieste di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale formulate dalla difesa nell’atto d’impugnazione, ha ritenuto che non emergesse dagli atti la prova incontrovertibile dell’innocenza dell’imputato, omettendo in concreto di valutare quali fossero le motivazioni ostative a un più favorevole proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione.

La perizia e la prova dell’innocenza del medico

Secondo la tesi difensiva del medico, sarebbe emersa dall’elaborato peritale la prova evidente della propria innocenza. Quindi la Corte avrebbe dovuto concludere per l’assoluzione nel merito, comunque da privilegiare anche in caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova. In ogni caso, la motivazione travisa le risultanze delle emergenze istruttorie e, condividendo le conclusioni alle quali era giunto il Tribunale, la Corte territoriale non ha fatto altro che applicare i principi e le regole di giudizio proprie dell’accertamento processuale penale, per cui si sarebbe dovuta confrontare con tali principi.

I periti hanno spiegato, in funzione delle valutazioni conclusive, che l’incremento dell’amilasi, enzima pancreatico, è da considerare fisiologica conseguenza anche della semplice manipolazione traumatica del coledoco. Tuttavia, l’imputato, nell’impossibilità dell’asportazione del calcolo, avrebbe potuto, per evitare la stasi biliare e la colangite, posizionare uno stent o un sondino naso-biliare.

L’attendismo del chirurgo

Nel criticare l’attendismo del chirurgo i periti si sono, poi, concentrati sull’operato dell’imputato, limitatamente a quanto avvenuto il 16 luglio 2010. Fermo restando che tutti i consulenti hanno condiviso la scelta del gastroenterologo di non insistere nel tentativo di asportare il calcolo, date le sue dimensioni, i periti, in via di principio, hanno concordato con la censura espressa dai consulenti del Pubblico Ministero circa il mancato posizionamento della sonda naso-biliare o dello stent (con la precisazione che la sonda naso-biliare avrebbe presupposto l’anestesia generale, non praticabile in una sezione radiologica come quella in esame, onde secondo i periti l’unica alternativa sarebbe stato il posizionamento dello stent).

Nelle specifiche condizioni di complicanze nell’intervento, secondo i periti, il non aver applicato lo stent non ha costituito una mancanza ma un ragionato e condiviso atto medico teso a impedire lo sviluppo della colangite di una via biliare già predisposta alle infezioni, trattandosi di paziente che doveva essere operata di colecistectomia. La decisione di non drenare la VBP, prescrivendo un trattamento endoscopico iterativo con posizionamento di un sondino naso-biliare o di uno stent è stata, dunque, secondo i periti, una decisione: che avrebbe dovuto assumere autonomamente il chirurgo una volta deciso di non poter operare immediatamente.

I sintomi della colangite e le complicanze nell’intervento

Sotto il profilo del giudizio controfattuale, i periti hanno evidenziato come i sintomi della colangite si fossero manifestati sin dalla sera del 16 luglio e hanno concluso di non poter stabilire se il processo infettivo si sarebbe manifestato lo stesso in caso di posizionamento di stent o di sonda naso-biliare, tanto più che, come già chiarito, le manipolazioni strumentali sono causa frequente di colangite. Le linee guida del tempo raccomandavano di posizionare un drenaggio in caso di impossibilità di asportare il calcolo ma, nel caso concreto, l’imminente intervento chirurgico avrebbe risolto il problema.

Il responso della Cassazione

Il Giudice di appello, investito dell’impugnazione da parte dell’imputato della sentenza di condanna in primo grado, e in presenza della parte civile, avrebbe dovuto in primo luogo vagliare la fondatezza dell’appello concernente la statuizione sui capi penali secondo il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e pervenire all’esito assolutorio anche nei casi nei quali la prova fosse insufficiente o contraddittoria.

Da un lato, la Corte territoriale ha condiviso il ragionamento probatorio seguito dal primo grado secondo la regola di giudizio penale (oltre ogni ragionevole dubbio) e, dall’altro, previa ammissione della perizia, basandosi sulla regola di giudizio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, ha pronunciato la causa estintiva del reato trascurando un passaggio argomentativo indispensabile, ossia l’esplicitazione delle ragioni per le quali non potesse darsi prevalenza all’assoluzione nel merito, limitandosi a valorizzare l’esclusiva incidenza del giudizio agli effetti civili.

Dando prevalenza alla causa estintiva in assenza di motivazione, ha di fatto negato all’imputato appellante la disamina, nel merito, dell’atto d’impugnazione agli effetti penali. La motivazione della Corte di Appello è del tutto inidonea a dare adeguato conto del giudizio esplicativo e controfattuale che è alla base del nesso di causa tra la condotta omissiva ascritta all’imputato e l’evento letale.

In punto di nesso di causa, occorre distinguere il ragionamento esplicativo dal ragionamento controfattuale, ma la Corte di Appello ha apoditticamente ed erroneamente affermato la sussistenza del nesso di causa tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento senza adeguato confronto con le evidenze disponibili, puntualmente richiamate dai periti ma non adeguatamente valutate (Cassazione penale, sez. IV, 11/04/2024, n.14893).

Avv. Emanuela Foligno

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