Accertata la responsabilità professionale a carico del Chirurgo convenuto che ha eseguito un intervento molto invasivo, la quadrantectomia, che si utilizza soltanto in caso di carcinomi mammari accertati e non per asportare lesioni benigne e meno che mai per verificare la natura della lesione (Tribunale di Reggio Calabria, Sez. I, Sentenza n. 1495/2021 del 25/11/2021-RG n. 3557/2013 – Repert. n. 1907/2021 del 25/11/2021)

La paziente espone di essere stata sottoposta ad intervento chirurgico di quadrantectomia supero esterna dx allargata; tre giorni dopo la dimissione era stata nuovamente ricoverata per complicanze infiammatorie in sede di ferita chirurgica; dopo avere richiesto il consulto di altri sanitari era emerso che nel trattamento ad ella riservato vi erano state gravi inadempienze sanitarie integranti la colpa professionale dei Medici, in primis del Primario del reparto di Chirurgia, consistenti in una errata interpretazione dell’esame istologico della Clinica da cui era scaturita l’indicazione ad un trattamento redioterapico giudicato inopportuno dal Terapista ed in un’omissione nella formulazione della corretta diagnosi clinica che aveva comportato un errore nella procedura chirurgica.

La domanda è fondata.

In applicazione del principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla , s i pone a carico del medico la prova dell’esatto adempimento della prestazione essendo egli dotato di una particolare competenza tecnico -professionale ed in grado di reperire la documentazione necessaria.

Secondo la giurisprudenza più recente, “ove sia d edotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologi e per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determi nati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; in senso conforme, Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177).

Applicando i principi governanti la materia viene riconosciuta la responsabilità dei sanitari.

Il CTU, ha concluso che il trattamento riservato dal Medico alla paziente non è stato adeguato.

In particolare, scrive il CTU che ” La paziente, donna giovane e senza alcun fattore di rischio anamnestico né familiare né personale, si era rivolta al Medico, dietro consiglio del suo senologo che aveva riscontrato una citologia mammaria sospetta, esclusivamente per avere chiarita la diagnosi e riceverne un trattamento adeguato. Il trattamento adeguato, proprio per la citologia fortemente sospetta e per la mancanza di un nodulo palpabile, richiedeva prima dell’intervento una verifica istologica…(..).. la paziente era stata operata per un nodulo alla mammella, rivelatosi un fibroadenoma e che si sottoponeva a controlli periodici, durante il controllo mammografico del 2010, a causa di una opacità non presente nell’esame precedente, era stata indirizzata verso una consulenza senologica e per questo motivo si era rivolta al suo senologo di fiducia, che anche in passato l’aveva sottoposta a controlli ecografici. L’esame citologico relativo all’agoaspirato descrive: “piccoli aggregati ed elementi isolati di cellule con anisonucleosi ed ipercromia nucleare su fondo amorfo con rari tralci stromali. Utile verifica istologica intraoperatoria. Categoria diagnostica C4”. Purtroppo l’analisi della letteratura evidenzia l’estrema variabilità dei risultati e la difficoltà di compararli. Ciò è legato alla grande variabilità dei modi di praticare la citologia mammaria, ma anche alla variabilità degli studi statistici, alla variabilità del numero dei controlli istologici, dell’incidenza e durata di follow-up dei veri negativi (Dodd L.G. Diagn. Cytopathol. 1996). Inoltre, ai quadri istologici complessi, tipo iperplasia intraduttale semplice o atipica, come nel caso della signora, non corrispondono quadri citologici univoci. “La citologia non è in grado di caratterizzare con precisione queste lesioni: si limita a tentare di valutarne la natura più o meno proliferativa. La ricchezza cellulare e la presenza di atipie deve comunque condurre ad una verifica istologica (Ranchère -Vince D. Encicl.Medi. Chirurg.Francese 2000), che può essere effettuata anche con una biopsia per cutanea preoperatoria (previo consenso informato) nota come Core Biopsy (CB) eseguita con ago tr anciante, o Needle Core Biopsy (NCB), che evita di operare lesioni mammarie benigne, anche complesse (Linee Guida della FONCAM ossia Forza Operativa Nazionale Carcinoma Mammario costituita da Umberto Veronesi nel 1977 le cui L.G. sono valide e aggiornate sino ad oggi) e Linee Guida della AIOM, ossia Associazione Italiana Oncologia Medica). Nessuna critica può essere mossa al comportamento del senologo che, in seguito alla citologia mammaria sospetta, ne ha richiesto il controllo istologico intraoperatorio. Tale controllo avrebbe avuto lo scopo di definire con certezza se la lesione mammaria della signora fosse benigna o meritevole di trattamento radicale in quanto maligna. Di contro il chirurgo, nell’assoluta normalità dell’esame clinico cui il chirurgo sottopone la paziente (“mammelle normali per forma e volume, simmetriche, capezzoli normoestroflessi non secernenti, areola normopigmentata, cute normale, assenza di tumefazioni apprezzabili su tutti i quadranti, assenza di dolorabilità) fa firmare alla signora il consenso informato alla quadrantectomia nonché quello alla linfoadenectomia ascellare “in caso vi siano linfonodi ascellari clinicamente palpabili o quando il linfonodo sentinella, eventualmente ricercato,sia metastatico o non reperibile . La descrizione dell’intervento chirurgico è molto scarna: “… reperto di aggregati di microcalcificazioni sul quadrante supero ascellare mammella destra. Quadrantectomia supero esterna mammella destra ed asportazione dei linfonodi sui tre livelli. Emostasi. Posizionamento di due drenaggi di cui uno sopra il muscolo grande pettorale e l’altro nel cavo ascellare”. Nessuna descrizione della massa che si va ad asportare, nessuna manovra per ricercare linfonodi palpabili come descritto nel consenso intervento che si utilizza per il cancro mammario infiltrante senza che la diagnosi istologica sia stata fatta, e l’esito dell’esame istologico, non lascia dubbi sul fatto che l’intervento sia stato inutilmente e colpevolmente invasivo senza che ce ne fosse alcuna necessità. Si legge infatti: “Parenchima mammario caratterizzato da iperplasia duttale complessa localmente atipica, ectasie cistiche ed adenosi florida. Plurime calcificazioni. Linfoadenite follicolo iperplastica a carico dei 10 linfonodi campionati dal tessuto ascellare”.

Il CTU sottolinea gli elementi che fanno concludere per una scelta di intervento erronea: “innanzitutto la paziente, con anamnesi familiare negativa e con nessun rischio nell’anamnesi personale, si era rivolta al chirurgo perché venisse chiarita, in sede operatoria, la natura della lesione il cui esito citologico non era certo (C4 = dubbio). Dopo un esame clinico assolutamente negativo, la prudenza avrebbe dovuto guidare il chirurgo ad accertarsi con un esame istologico estemporaneo intraoperatorio che la lesione fosse maligna e, procedere allo svuotamento del cavo ascellare. E’ noto da tempo, infatti, e cioè da quando il Prof. Veronesi ha descritto gli interventi conservativi per trattare il cancro mammario, e tutta la letteratura scientifica mondiale ha dimostrato, che la mastectomia totale non comporta esiti migliori a distanza nelle pazienti anche di giovane età, che tutti i chirurghi che si occupano della materia eseguono interventi meno invasivi possibili ricorrendo alla mastectomia o nei cancri avanzati o se esiste un rischio genetico accertato o su specifica richiesta della paziente (Veronesi U. Int .Adv. Surg. Oncol. 1983, N.Engl.Med.2002 e 2003, Enc.Med.Chir.Francese 2004, LG FONCAM, AIOM). Nel caso in questione non esistevano i presupposti per eseguire la quadrantectomia che si utilizza soltanto in caso di carcinomi mammari accertati e non per asportare lesioni benigne e meno che mai per verificare la natura della lesione. Va tenuto anche in conto che nei casi nei quali la lesione non è palpabile (come si suppone fosse quello della paziente – in nessuna sede sono riportate caratteristiche o dimensioni del nodulo -), allo scopo di localizzare la lesione ed asportare (in un eventuale intervento chirurgico) una quantità di tessuto è necessario ricorrere a metodiche di localizzazione pre o intraoperatoria (filo metallico, tracce di carbone, ROLL, Patent Bleu). ( Gioffrè Florio M.: La chirurgia Radioimmunoguidata (R.I.G.S.) in patologia mammaria. Chirurgia Italiana 2001). In questo caso bisognava procedere ad una asportazione della lesione per un esame istologico estemporaneo o, in assenza del servizio di anatomia patologica reperibile, si poteva eseguire nodulectomia per esame istologico e, se dopo qualche giorno si fosse accertata la malignità della lesione, si poteva p rocedere o a una tumorectomia o ad una quadrantectomia, in relazione alle dimensioni della lesione, con biopsia del Assolutamente non giustificata, nel caso in questione, la dissezione linfonodale ascellare completa così come descritto nell’intervento del dottor V****o, ossia l’asportazione di tutti i linfonodi ascellari corrispondenti ai tre livelli di Berg. Nel consenso informato sottoscritto dalla paziente era ben descritto che l’operatore avrebbe dovuto controllare eventuali linfonodi palpabili e ricercare il linfonodo sentinella prima di procedere alla asportazione degli stessi. Questo non è stato fatto. La biopsia del linfonodo sentinella rappresenta una metodica per identificare metastasi dei linfonodi ascellari in pazienti affette da carcinoma mammario in stadio iniziale (Veronesi U. N. Engl.Med.2004) ma di questo non vi è traccia in cartella, dimostrando che quanto il chirurgo ha fatto firmare alla paziente non è stato rispettato. Ha ritenuto opportuno, in alternativa, togliere tutti i linfonodi ascellari, esponendo la paziente alle conseguenze lamentate sino ad ora. Infatti la asportazione completa di tutti i linfonodi è una pratica terapeutica che si decide solamente dopo aver preso conoscenza dei indici prognostici (recettori, K67, HER -2, etc,).”

Alle luce di quanto evidenziato dal CTU, viene concluso per la responsabilità professionale a carico del Chirurgo convenuto che ha eseguito un intervento molto invasivo, la quadrantectomia che si utilizza soltanto in caso di carcinomi mammari accertati e non per asportare lesioni benigne e meno che mai per verificare la natura della lesione.

Di contro, allo scopo di localizzare la lesione ed asportare (in un eventuale intervento chirurgico) una quantità di tessuto era necessario ricorrere a metodiche di localizzazione pre ointraoperatoria (filo metallico, tracce di carbone, ROLL, Patent Bleu) e bisognava procedere ad una asportazione della lesione per un esame istologico estemporaneo o, in assenza del servizio di anatomia patologica reperibile, si poteva eseguire nodulectomia per esame istologico.

Inoltre, “non giustificata la dissezione linfonodale ascellare completa ossia l’asportazione di tutti i linfonodi ascellari corrispondenti ai tre livelli di Berg che è una pratica terapeutica che si decide solamente dopo aver preso conoscenza dei risultati”, seppure indicata nel consenso informato”.

In replica alle osservazioni dei CTP dei convenuti, quanto all’esito del referto citologico che indica una verosimile natura maligna (C4), il CTU ha precisato che “la citologia mammaria è gravata da una percentuale più elevata di prelievi insufficienti e di falsi negativi e, soprattutto, non permette spesso una diagnosi precisa delle lesioni benigne e che nei quadri istologici complessi, tipo iperplasia intraduttale semplice o atipica, come nel caso della signora , non corrispondono quadri citologici univoci…..(..).. è vero che a volte l’esame istologico estemporaneo non risulta affidabile, ma una verifica istologica era comunque necessaria prima di decidere il tipo e la estensione dell’intervento”.

Il CTU evidenzia come un comportamento diligente e prudente avrebbe evitato la cicatrice retraente sulla mammella della signora, che deve convivere con una sequela che deturpa il suo corpo, in una parte importantissima per l’autostima delle donne, senza che ce ne fosse stata alcuna indicazione clinica. Inoltre, la completa linfoadenectomia ha comportato il linfedema cronico che ha cambiato in peggio la sua vita.

Al riguardo il CTU ha precisato come” non sia assolutamente possibile che non ci sia ristagno di linfa dopo una asportazione totale di tutte le stazioni di drenaggio. Non esiste la possibilità di impedire alla linfa di formarsi e se, una volta formata, la linfa non può essere drenata perché tutti i linfonodi sono stati asportati, i l linfedema cronico diventa una naturale conseguenza.”

Il danno biologico permanente arrecato alla donna è quantificato dal CTU nel 15% e viene liquidato con le Tabelle milanesi in euro 31.085,00.

Quanto al risarcimento del danno morale, è pacifico il principio per cui ” In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del “danno biologico”, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico -relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, “sub specie” di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione ” (Cass. Civ., Sez. 6 -3, Ordinanza n. 4878 del 19/02/2019).

In considerazione degli interventi chirurgici subiti e delle conseguenze estetiche e sulla qualità della vita evidenziate dal CTU , viene riconosciuta la sofferenza soggettiva interiore, nella misura riconosciuta dalle Tabelle Milano 2021 e, cioè, in misura pari al 31 % del punto base del danno biologico.

Il valore monetario della componente del danno non patrimoniale costituita dalla c.d. sofferenza soggettiva interiore ammonta a euro 9.636,35.

L’attrice non ha allegato nulla di specifico per cui la invocata personalizzazione del danno viene respinta.

Il totale dei danni ammonta ad euro 40.721,35 , e l’importo viene posto in solido a carico di entrambi i convenuti ex art. 2055 c.c.

Le spese di giudizio, nei rapporti tra attore e convenuti seguono la soccombenza, mentre le spese di CTU vengono poste a carico dei convenuti in solido.

Avv. Emanuela Foligno

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