Caso Levato – Boettcher, La decisione del Tribunale per i minorenni

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Risale proprio a qualche giorno fa la decisione del Tribunale dei minorenni di Milano, che ha disposto sul futuro del piccolo Achille, figlio dei due amanti, Martina Levato e Alexander Boettcher, entrambi condannati a 14 anni di carcere per aver aggredito, nel dicembre 2014, un ragazzo 22enne –l’ex della giovane donna – lanciandogli dell’acido in volto, e ora sub iudicio per altre due aggressioni simili.
Il Pm Annamaria Florillo aveva sin da subito, chiesto che il neonato, partorito lo scorso 15 agosto, fosse affidato ad una coppia idonea per l’eventuale adozione. Non escludeva, tuttavia, ma solo in via subordinata, la possibilità di percorrere altre vie, laddove quest’ultime si fossero determinate come le più necessarie.
Si tratta, in ogni caso, di soluzioni provvisorie. Il Pm aveva comunque disposto di evitare contatti tra la famiglia di origine e il neonato. E nel frattempo veniva nominato tutore, il Comune di Milano.
Grande attesa e ansia hanno accompagnato questi giorni, finché lo scorso 18 agosto, è arrivata la decisione.
La dolorosa vicenda, ha coinvolto, commosso e diviso l’opinione pubblica. Molto si è parlato in questi giorni e, molte sono state le ipotesi circa la possibile soluzione sul destino del piccolo. Tra queste si era fatta strada l’idea di affidare il neonato ad una comunità, o meglio ancora ai nonni, oppure ad una famiglia o a una casa famiglia.
E così in questa congerie di ipotesi è giunta la decisione: la madre Martina Levato, potrà vedere il bambino una volta al giorno, ma non allattarlo al seno e le visite avverranno alla presenza di operatori socio-sanitari.
Sarà stata forse la pressione mediatica ad aver influito, nel rendere più cauta la scelta dei giudici, rispetto a quanto paventato all’inizio?
Qualcuno ha scritto che, per assurdo avrebbe avuto più senso una scelta netta e chiara degli organi giudicanti, ovverosia spingere verso l’affido come primo passo verso l’adozione, per togliere subito il bambino dai riflettori. Ma è anche vero che questa sarebbe stata una decisione forse, anche poco ragionata e fallace.
La verità è un’altra, gli interessi dei minori, vanno valutati con altri criteri.
Il pm aveva chiesto, basandosi sulle perizie svolte nel corso del processo, la totale irreversibile incapacità di Martina e Alexander a svolgere i compiti genitoriali.
Ciononostante, i giudici del tribunale per i minorenni di Milano hanno deciso che la giovane madre, potrà vedere il suo bambino una volta al giorno e solo in presenza di operatori sanitari. La visita dovrà essere di durata contenuta e il piccolo non potrà essere allattato al seno. Sempre gli stessi giudici hanno anche aperto – come aveva richiesto il Pubblico Ministero – il procedimento di adottabilità del minore sul quale, però, dovrà esserci una decisione successiva nel merito, dopo un periodo di istruttoria. Fino a quel momento il piccolo sarà affidato al Comune di Milano, suo tutore.
Non si è potuta omettere, come è stato trasmesso su televisioni e reti nazionali, la notizia della grande emozione che la giovane, ha provato nell’abbracciare il proprio figlio.
Subito dopo la decisione del tribunale, infatti, la direzione sanitaria competente ha ricevuto il provvedimento c.d. “urgente e provvisorio” e le infermiere del reparto hanno immediatamente provveduto ad eseguirlo, portando il piccolo neonato alla madre.
Quanto al padre, questi, per ora non ha ancora potuto riconoscere la paternità sul bambino e sul punto i suoi legali hanno già aperto battaglia perché ciò avvenga al più presto. Si ritiene il riconoscimento della paternità, un momento essenziale ed importante per il genitore, che dal canto suo ha ha già provveduto a far recapitare una lettera indirizzata al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, per avere chiarimenti sulle procedure necessarie.
La decisione ha in verità sollevato molte critiche, a partire dagli stessi legali e familiari dei due giovani amanti, per arrivare, poi, all’opinione pubblica.
Critiche che, in verità, hanno seguito e affiancato l’intera vicenda giudiziaria. La stessa richiesta del pm Annamaria Florillo di disporre l’allontanamento immediato del piccolo alla madre, aveva provocato lo sdegno dei familiari della stessa, che avevano perciò parlato di “atrocità”.
La decisione comunque scevra da sentimentalismi non lascia spazio ad emozioni, o forse ne lascia troppi. In verità, il cuore vero della vicenda è un altro e una riflessione si impone con tutta forza.

Il Tribunale per i minorenni è intervenuto su una vicenda assai complessa, dai contorni alquanto delicati.
Mai come in questo caso – che tanto ha fatto parlare e che tanto ha coinvolto ed emozionato il mondo mediatico – non ci si può “distrarre”, da inutili giudizi (o pregiudizi !!)
Molto e forse troppo si è parlato della coppia “diabolica”, dei loro coinvolgimenti in un mix di sesso, potere, ossessioni, mentre nello stesso tempo si avanzavano richieste da parte degli stessi di umanità, di umanità a veder riconosciuto il diritto alla genitorialità.
Ma a noi non interessano i retroscena, o forse non interessano i palcoscenici, perché in questo caso il vero atto di umana solidarietà va fatto nei confronti del piccolo neonato che non ha scelto di nascere sotto i riflettori, e neppure ha scelto di vedersi privato di quell’amore paterno e materno.
Ecco che allora, bisogna avere la capacità di trattare questi argomenti e queste vicende con assoluta ed estrema delicatezza, saggezza e moderazione, consapevoli del ruolo che un’ istituzione, quale il tribunale dei minori in questo caso, è chiamato ad esercitare. Perché anche laddove si tratti di vicende così gravi, quelle che sottostanno alla condanna dei due amanti, il tribunale deve fare delle scelte, non certamente dettate o precedute dall’intenzione di giudicare (nel senso più comune della parola), di attribuire responsabilità o castighi, di allontanare i figli dalle famiglie o di configurare astratte previsioni di famiglie e di genitori modello che appunto non esistono, giungendo così ad escludere i genitori dalla vita dei propri figli.
Il fine e il fermo e costante proprosito degli organi giudicanti è, invece, quello di aiutare, sostenere, correggere, superare squilibri ed attivare risorse nell’ambito della famiglia o fuori delle stesse, qualora fosse indispensabile per la tutela del minore di cui si tratta.
I fattori di rischio per il bambino, in questi casi, vanno contemperati con quelli protettivi dello stesso. Si tratta evidentemente di bambini con bisogni “speciali” e altrettanto “speciale” sarà il ruolo dell’organo di giustizia.
Si chiede, pertanto, di guardare a quest’ultimo non come duro gendarme che esercita un controllo sull’adeguatezza delle famiglie, ma come quello di “protettore” che ha il compito di venire incontro alle esigenze e i bisogni del minore, pur tutelando la famiglia, anche laddove si tratti di famiglie “particolari” come quella di cui quest’oggi si parla.
È solo con questo spirito che si può comprendere la soluzione adottata dai giudici nel provvedimento de quo.
Una riflessione doverosa, a questo punto, merita anche il ruolo dei servizi sociali, che qualcuno (DOSI, Minori duemila, in Quaderni Tutela Minori, n. 8, 2000, p. 112-113) ha definito come «una funzione amministrativa d’esecuzione dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni». In verità, gli operatori, a prescindere dal tipo di rapporto istituzionale esistente, hanno il dovere di affrontare queste tematiche con un bagaglio di conoscenze e di sensibilità adeguate.
Ebbene si perché la tutela del minore è un impegno trasversale a tutti i servizi e «l’attenzione ai bisogni dei bambini dovrebbe essere presente in ogni servizio e in ogni operatore» (BERTOTTI, La presa in carico e le funzioni dell’assistente sociale,in D. GHEZZI, F. VADILONGA, (a cura di ), La tutela del mionore, Milano, 1996, p. 30).

«L’interesse del minore è l’obiettivo cui deve tendere ogni intervento istituzionale connesso a situazioni che compromettono il suo benessere(…); esso può essere definito come quello di vedere riconosciuto e garantito il suo diritto a crescere in modo sufficientemente buono. L’individuazione dell’interesse del minore, tuttavia, è particolarmente difficile nei casi in cui viene meno la tendenziale e desiderabile coincidenza di esso con l’interesse dei genitori ad esercitare il dovere-diritto di svolgere le funzioni inerenti la potestà; quando tale coincidenza è messa in crisi da condotte de genitori che compromettono gravemente i figli, si pone la necessità di incidere,in minore o maggiore misura, sulla potestà dei genitori» (CECCARELLI).

Tutela del minore, significa, dunque in senso stretto: «assunzione di responsabilità della sua educazione da parte di istituzioni dello Stato, in sostituzione di genitori assenti o incapaci di provvedervi, ma anche, in senso lato, qualsiasi intervento a favore di un bambino, seppure solo integrativo a quello dei genitori, anche quando la loro funzione allevante non è ancora stata messa in discussione» (A.M. DELL’ANTONIO, La partecipazione del minore e la sua tutela, Giuffrè, Milano, 2001).
Compiti di tutela sono attribuiti, perciò, dalla legge a due sistemi; il sistema degli Enti Locali e il Sistema Giudiziario ossia le Procure presso i Tribunale per i minorenni e gli stessi Tribunali. In particolare, il Servizio Sociale del Comune è a ciò deputato, in virtù del deceto 616/77 che affida allo stesso, compiti di tutela a sostenere, aiutare, a mettere in campo tutte le risorse affinchè un minore trovi nella propria famiglia risposte adeguate ai propri bisogni, ma anche a controllare quando l’esercizio della potestà genitoriale è pregiudizievole ad una sana crescita psico-fiscica del minore.
Le decisioni che attengono la potestà genitoriale sono, infatti, prese dall’organo giudiziario sulla base anche delle inormazioni inviate dal Servizio Sociale.
Ora, se da una parte è vero che il diritto del minore di essere cresciuto ed educato in modo da consentirgli un armonico sviluppo all’interno della propria famiglia è riconosciuto sia dalla Costituzione (art. 2, Cost.) che dalla legge ordinaria (artt. 147 e ss. legge 184/83 modificata 149/2001) è pur vero che anche la potestà genitoriale, che pure viene delineata come un dovere, è riconosciuta come diritto dei genitori, di occuparsi, in via esclusiva, della cura e dell’educazione (art. 30 Cost.).
Qui in verità, la questione è un po diversa. Si tratta di due genitori che si sono macchiati di un delitto per cui è conseguita una sentenza di condanna alla pena di anni 14 di reclusione; condanna che ha comportato la necessaria sospensione della potestà genitoriale.
Tutto ciò però non deve escludere l’avvio di un adeguato percorso di umanizzazione, rieducazione e risocializzazione per gli stessi. Si ritiene che «la possibilità di relazionarsi con chi esiste fuori – e oltre – il carcere è un presupposto e, al tempo stesso, uno strumento fondamentale ai fini del reinserimento sociale che deve, quindi, essere agevolato favorendo l’entrata in istituti e l’attivazione serena di soggetti volontari o di figure del privato sociale nonché dei servizi del territorio» (De Leo, Patrizi, 2002).

Si ricordi che per la madre è stata già fatta richiesta di entrare in una comunità per madri detenute con i propri figli; argomento sul quale lo stesso tribunale deciderà, circa la concreta possibilità che ciò si realizzi e con quali modalità.
A quanto detto va aggiunta un’ ulteriore e ultima riflessione, molto più semplice.
Quando si parla di decisioni prese per il bene del minore, non è mai chiaro definire la quantità e/o la qualità di questo “bene”. Ciò perché nella concreta realtà quotidiana, non esistono delle soluzioni predeterminate e perfette per ciascuno. Per quanto le similitudini e la vicinanza di casi possa essere lampante, la specificità di ciascuno è indiscutibile e, inoltre, le relazioni affettive all’interno di una famiglia possono essere davvero molto complesse.
Si richiede perciò, un’analisi profonda di ciascuna esigenza, di ciascun caso, in modo da giungere a decisioni che siano di volta in volta, le più adeguate nel rispetto dell’individualità del minore e della propria famiglia.
Un modo per rendere questo compito meno complicato è sicuramente quello di affidarsi alla competenza professionale degli organi sociali preposti ad instaurare intense attività di comunicazione con le famiglie e con i propri piccoli. Forse solo in questo modo si potrà giungere al “bene” del minore.

Avv. Sabrina Caporale

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