Colecistectomia e laparocele su cicatrice post operatoria

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L’Azienda Unità Sanitaria Locale, avuto riguardo alle modalità di esecuzione dell’intervento del 22.03.2013, viene ritenuta responsabile per l’esito infausto (Tribunale di Rieti, Sentenza n. 343/2021 del 18/06/2021 RG n. 895/2018-Repert. n. 616/2021 del 18/06/2021)

Con atto di citazione ritualmente notificato il paziente conviene a giudizio la Azienda USL di Rieti esponendo: che in data 05.08.2009, presso l’OGP di Rieti, alle ore 13,30 era stato sottoposto ad intervento chirurgico (principale) di colecistectomia per via laparoscopica (intervento proc. chirurgica secondaria) in anestesia generale; che successivamente all’intervento, era insorta una patologia legata al laparocele postoperatorio che, divenuta sintomatica e fastidiosa, lo aveva costretto a rivolgersi nuovamente all’OGP di Rieti per il trattamento della stessa; che in data 22.03.2013, visto l’esito sfavorevole del primo intervento chirurgico, con diagnosi laparocele su cicatrice sottocostale dx, era stato sottoposto, presso il medesimo nosocomio, reparto di Chirurgia d’Urgenza, ad un secondo intervento chirurgico di plastica della parete addominale con posizionamento di protesi in parietene, in anestesia generale; che dopo tale intervento si era venuta a manifestare precocemente una tumefazione ancora più voluminosa di quella originaria sempre nella sede sottocostale destra per la quale il paziente era s tato nuovamente costretto a rivolgersi ai sanitari anche a seguito della sintomatologia algica addominale ricorrente e senso di ingombro costituito dalla voluminosa tumefazione addominale, che il medesimo accusava; che in data 24.08.2013 il paziente era stato quindi costretto ad effettuare, presso l’Ospedale di Rieti, visita chirurgica, nel cui referto si leggeva: “Laparocele recidivo in prossimità mediale di cicatrice di incisione sottocostale dx, non complicata. Si consiglia TC addome (studio parete addominale) e successiva rivalutazione chirurgica per programmare intervento chirurgico di plastica addominale”; che successivamente, in data 02.10.2013 il paziente si era sottoposto a visita TC addominale (studio parete addominale) presso il medesimo nosocomio, il cui referto aveva evidenziato che: “…In corrispondenza della parete addominale anteriore, a livello sovraombelicale medianoparamediano destro si rileva un laparocele che presenta una breccia delle dimensioni di 7 cm, con relativo impegno di un’ansa intestinale colica. In via collaterale si apprezzano nodulazioni linfonodali centrimetriche inguinali bilaterali “; di essersi sottoposto a visita medico -legale la quale aveva rilevato che “…il soggetto lamenta il persistere di vistoso laparocele in sede mediana paramediana destra con dolore addominale ricorrente e difficoltà digestive. Lamenta, inoltre, senso di disagio anche nei rapporti intimi per la deformità presente a livello addominale, oltre ad uno stato ansioso depressivo reattivo ; l’intervento chirurgico eseguito nel mese di marzo 2013 presso l’OGP di Rieti, non solo non ha risolto la sintomatologia del soggetto, bensì ha determinato il peggioramento della situazione a livello locale, con formazione di una tumefazione addominale di dimensioni addirittura superiori a quella originaria, con conseguente insorgenza di una sintomatologia algica addominale ricorrente ancor più rilevante rispetto a quella che si era determinata in precedenza ,,,,, esistenza di un danno biologico quantificato nella misura del 25% della totale, nonché 30 giorni di inabilità temporanea totale e 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%, in considerazione della gravità della patologia psichica”.

Successivamente, nel 2016 il paziente si recava presso il Policlinico Agostino Gemelli per una visita, dalla quale si era evinta: “Enorme ernia a livello di tutto l’addome dx. Si palpa porta erniaria grande come tutta la cicatrice con grande sfiancamento fino al fianco dx”, a seguito della quale era stato inserito in lista chirurgica di attesa; che alla luce di quanto appena detto, si era palesata la massima urgenza di procedere all’imminente intervento chirurgico presso il Policlinico “A. Gemelli” di Roma.

Visto il tempo di attesa veniva notificato in data 20.05.2016 all’Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti il ricorso per ATP ex art.696 c.p.c. che confermava una percentuale di danno permanente pari a 18 punti, tenendo conto delle ampie dimensioni del laparocele che configurano il quadro di “malattia da laparocele”, ma suddivisi al 50% tra cause amatomo -funzionali ed eventuale errore chirurgico”

Il Tribunale dispone l’acquisizione del fascicolo dell’ATP e converte il rito da sommario a ordinario, disponendo CTU Medico-legale.

Previa disamina della disciplina di natura contrattuale applicabile ai casi di responsabilità medica, il Giudice condivide le risultanze della CTU.

“Con riguardo, invero, all’intervento di colecistectomia eseguito il 05.08.2009, in ATP è stato rilevato che “…esso fu condotto su corretta indicazione ed in maniera adeguata rispetto alla patologia in atto: infatti dopo un iniziale approccio laparoscopico, in presenza di “intensa sclerosi del legamento epatobiliare”, fu effettuata una conversione con incisione laparotomica sottocostale destra. La procedura appare assolutamente corretta ed il decorso clinico, senza complicanze immediate, lo dimostra” ….. “In particolare l’incisione laparotomica si rese necessaria per la difficoltà ad isolare per via laparoscopica gli elementi del peduncolo della colecisti e del triangolo di Calot: questo fu dovuto alla reazione fibrosa, legata alla colecistite, che impediva un sicuro approccio laparoscopico con valida visualizzazione ed identificazione degli elementi anatomici. Proseguire l’intervento per via laparoscopica sarebbe stato oltremodo rischioso e bene fecero i chirurghi a convertire in laparotomia” ……. “La laparotomia fu eseguita per via sottocostale destra: tale tipo di incisione permette un più agevole accesso al fegato ed alle vie biliari, inoltre presenta nelle casistiche internazionali una relativa riduzione del dolore post -operatorio ed una minore frequenza di laparoceli in confronto all’incisione mediana, pertanto, la scelta del tipo di laparotomia è sicuramente condivisibile”.

“La comparsa di un laparocele fa parte delle complicanze possibili dopo una laparotomia. Tale evenienza è decisamente più frequente nelle laparotomie mediane, ma può presentarsi anche in quelle oblique come la sottocostale. La presenza di condizioni particolari quali l’obesità e diabete, come nel nostro caso, possono aver facilitato l’insorgere della complicanza. E’ possibile anche ipotizzare tra le cause del laparocele un difetto di tecnica, ovvero una imprecisa sutura dei piani di parete al la fine dell’intervento di colecistectomia: tale ipotesi appare possibile, ma poco probabile in quanto va riconosciuto un ruolo fondamentale nel determinismo della complicanza alla obesità ed al diabete”.

“L’intervento riparativo del 22. 03.2013 fu eseguito correttamente con tecnica di Rives -Stoppa ed il difetto di parete fu riparato con l’apposizione, in sede retromuscolare pro -peritoneale, di una lamina protesica in Parietene Pro -Grip. Nella descrizione dell’intervento non appaiono aspetti critici o censurabili” ……. “La recidiva di laparocele è complicanza possibile anche dopo apposizione di lamina protesica: nella letteratura più accreditata la percentuale varia dal 5 al 18%, Anche in questo caso la presenza di condizioni generali sfavorevoli quali obesità e diabete possono aver svolto un ruolo importante nella recidiva erniaria. Va, però, considerata anche la possibilità di un dislocamento, accartocciamento o migrazione della protesi avvenuti per un difetto di posizionamento o di ancoraggio/autoancoraggio: non è possibile escludere tale ipotesi ed alla luce del “più probabile che non” si ritiene che tale evenienza sia possibile. Nella descrizione dell’intervento non viene descritto il posizionamento di punti di ancoraggio della protesi per cui dobbiamo desumere che la rete, in quanto autoancorante, non fu fissata con punti. In letteratura la capacità della rete di Parietene Pro -Grip di autoancorarsi sembra sufficientemente dimostrata nelle protesi di piccole dimensioni come nella riparazione dell’ernia inguinale, ove lo spazio libero per eventuale dislocamento – accartocciamento – migrazione, anche senza ancoraggio, è estremamente ridotto. In caso di ampi difetti di parete, come nel nostro caso (il laparocele veniva definito “voluminoso”), la capacità di autoancorarsi della rete è meno dimostrata e quindi meno convincente. Ulteriore possibilità che la rete posizionata sia stata di dimensioni ridotte e non sufficienti a coprire in maniera adeguata il difetto di parete, tale eventualità resta nel campo delle ipotesi possibili. La recidiva di laparocele fu determinata fondamentalmente dalle condizioni generali del Pz, ovvero obesità e diabete, ma non possiamo escludere un possibile dislocamento – accartocciamento – migrazione o sottodimensionamento della rete”.

Ciò accertato, non risulta provato un inadempimento imputabile ai sanitari, ma in base al criterio del più probabile che non difetta, in ogni caso, il nesso causale tra la condotta dei medici che hanno avuto in cura il paziente e la successiva insorgenza della problematica lamentata come conseguenza dell’intervento eseguito.

Per quanto riguarda, invece, l’intervento riparativo eseguito il 22.03.2013, il CTU ha riscontrato un evidente profilo di violazione delle leges artis da parte dei sanitari, laddove evidenzia che “Nella descrizione dell’intervento non viene descritto il posizionamento di punti di ancoraggio della protesi per cui dobbiamo desumere che la rete, in quanto autoancorante, non fu fissata con punti”.

Sul punto, il CTU rappresenta che: “In letteratura la capacità della rete di Parietene Pro -Grip di autoancorarsi sembra sufficientemente dimostrata nelle protesi di piccole dimensioni come nella riparazione dell’ernia inguinale, ove lo spazio libero per eventuale dislocamento – accartocciamento – migrazione, anche senza ancoraggio, è estremamente ridotto. In caso di ampi difetti di parete, come nel nostro caso (il laparocele veniva definito “voluminoso”), la capacità di autoancorarsi della rete è meno dimostrata e quindi meno convincente”.

La mancanza di ancoraggio idonea, quindi, ha con ogni probabilità determinato uno spostamento della protesi, fenomeno che ha a sua volta provocato il peggioramento della condizione del paziente a livello locale e la successiva insorgenza di una tumefazione addominale di dimensioni superiori a quella originaria, nonché l’aggravarsi della sintomatologia algica addominale pregressa.

L’Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti, avuto riguardo alle modalità di esecuzione dell’intervento del 22.03.2013, è da ritenersi responsabile per l’esito infausto.

Tuttavia, anche se il CTU ha stimato un danno permanente del 18%, l’invalidità che sarebbe comunque residuata quand’anche il trattamento medico fosse stato eseguito in modo conforme alle regole dell’arte, corrisponde al 9%: l’incremento dello stato invalidante è quindi del 9%.

In prima battuta, quindi, il Tribunale procede alla traduzione in termini monetari dell’invalidità permanente effettiva riscontrata dal CTU in capo al ricorrente in misura pari, appunto, all’80%: invalidità che tenuto conto dell’età all’epoca dei fatti di causa ed in applicazione delle tabelle milanesi, determinerebbe l’importo di euro 51.865,00 all’attualità.

Poi, viene calcolato l’importo corrispondente all’invalidità del 9%, che sarebbe residuata in capo all’attore se il trattamento fosse stato correttamente eseguito, che risulterebbe – sempre in applicazione delle tabelle milanesi – pari a euro 16.520,00 all’attualità.

Quindi, euro 51.865,00 – euro 16.520,00, corrisponde a euro 35.345,00 che è l’importo a titolo di danno non patrimoniale che spetta all’attore.

Sulla richiesta di personalizzazione del danno, il Tribunale osserva che la obiettiva gravità delle lesioni complessivamente riportate dal paziente, il persistere delle problematiche a distanza di anni dalla data (marzo 20 13) di esecuzione dell’intervento, con riconosciuta necessità di effettuazione di un nuovo intervento e le conseguenze anche sul piano fisico, sono circostanze idonee a giustificare una personalizzazione del danno sino all’importo di euro 40.000,00.

Spese di lite, spese dell’ATP e della CTU Medico-legale seguono la regola della soccombenza e vengono poste in capo alla Azienda Sanitaria Locale.

Avv. Emanuela Foligno

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