Colpa medica, responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

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La pronuncia in esame appare incardinarsi nell’annosa querelle, ancora irrisolta, sulla dialettica tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nell’ambito della colpa medica. Due realtà tanto differenti quanto paradossalmente simili, da raffrontare, sceverare e cumulare. E, pertanto, la medesima si rivela utile raffronto storico, attenzionando i profili evolutivi dell’ingiustizia del danno nei ricorsi storici, sino all’abbandono del dogma tradizionale che vede la responsabilità medica quale sistema monolitico fondato su un unico modello di responsabilità. Il rapporto medico-paziente ha subito nel tempo notevoli mutamenti: la tendenza a esercitare l’attività medica entro strutture organizzate, in cui la figura del professionista di fiducia lascia il posto a quella dell’anonimo prestatore di servizi; la rilevanza attribuita dal progresso scientifico al profilo tecnico dell’attività svolta; la crescente specializzazione nei diversi settori della medicina e la tendenza all’esercizio di un’attività d’equipe. Questi non solo sono i segni di un’evoluzione sociale ed economica ma, sul piano giuridico, costituiscono altrettanti parametri di valutazione della vicenda che coinvolge il rapporto tra medico e paziente.

Ed è quindi, per ragioni non meramente accademiche ma anche pubbliche e sociali che la materia si presenta quale lavoro di estrazione di un senso. “Sensus non est inferendus, sed efferendus”; il senso non va imposto, esso va tirato fuori. Un senso da estrarre, senza alcuna forzatura, dall’oggetto di trattazione principale ovvero il danno ingiusto nella responsabilità civile.

L’inquadramento giuridico del rapporto struttura-paziente

Appare dirimente l’individuazione del regime di responsabilità applicabile al caso di specie.

La vicenda, incardinandosi la domanda attorea nei confronti di una struttura ospedaliera, si inserisce nella problematica dell’inquadramento giuridico del rapporto struttura-paziente. Una prima conquista è data dalla natura contrattuale di questo rapporto atteso che “l’accettazione del paziente al ricovero in una struttura sanitaria ospedaliera del paziente, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità.”1 Il paziente che si rivolga alla struttura sanitaria per essere assistito, dunque, stipula con questa un contratto dal contenuto complesso, detto “di spedalità”, in base al quale la struttura si obbliga a fornire i professionisti sanitari, nonché tutto ciò che sia necessario od opportuno per lo svolgimento della prestazione propriamente medica, come locali, strumenti, medicinali e staff di supporto. Si mette così in luce come, per quanto l’ente si obblighi a fornire anche la prestazione medica, non è in ciò che si esaurisce la portata della sua obbligazione e, infatti, “la struttura medica è tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce solamente nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche, generali e specialistiche ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali e di tutte le attrezzature tecniche necessarie.”2
La prestazione medica è, pertanto, senz’altro dovuta e la struttura sanitaria risponde quindi, a titolo contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico ma anche dell’opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema delineato dall’art. 1228 c.c., senza che rilevi che il sanitario che eseguì l’intervento chirurgico fosse o meno inquadrato stabilmente nell’organizzazione della struttura sanitaria né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia, posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla struttura sanitaria per adempiere l’obbligazione assunta con il paziente e che è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità (rectius, di occasionalità necessaria) tra l’opera dell’ausiliario e l’obbligo del debitore per far sorgere quell’obbligazione e, di conseguenza, una responsabilità a titolo contrattuale della struttura e del sanitario in caso di inadempimento ovvero inesatto adempimento della prestazione medica. Da ciò discende un vero e proprio obbligo di protezione3 nei confronti del paziente e, pertanto, la responsabilità della struttura sanitaria (pubblica o privata) nei confronti del paziente può derivare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dall’inadempimento delle obbligazioni a suo carico e, ai sensi dell’art. 1228 c.c., dell’inadempimento della prestazione medico professionale svolta dal sanitario che agisca in veste di un suo ausiliario.
Ed in effetti, la sentenza de qua inquadrava il rapporto tra le parti nell’ambito della responsabilità da contatto sociale e sulla base degli elementi ad essa consequenziali ne motivava la condanna al risarcimento del danno. Tra questi, la condotta imperita ed imprudente del personale sanitario nonché il difetto probatorio e allegatorio della struttura ospedaliera a fronte di quello particolareggiato del danneggiato. Sul primo, il giudicante imputava al personale sanitario, a causazione di un danno biologico permanente funzionale ed estetico, le omissioni circa le cure necessarie e l’accertamento diagnostico nonché la tardività dell’intervento. In tal modo si delineavano i contorni dell’imperizia – quale parametro che consente di valutare la condotta del potenziale danneggiante in base alle conoscenze tecniche da lui possedute – e dell’imprudenza nella fase dell’esecuzione. Ad avviso di chi scrive, l’individuazione del momento esecutivo, rispetto a quello programmatico non è casuale atteso che “in fase di programmazione” non si possono prevedere interventi facili o difficili in un certo settore per la stessa ragione per la quale nella pratica clinica si è soliti riconoscere che non esistono malattie, bensì solo malati.
È in “fase esecutiva” che l’attività professionale può presentare, nel bel mezzo di una prestazione “routinaria” anche banale, problemi clinici di risoluzione difficile e talvolta impossibile. Epperò, la responsabilità nel caso de quo discende proprio dal diverso e ridotto livello di difficoltà che connotava il malanno della paziente, cui certamente corrispondeva un diverso grado della colpa, potendo porre a carico dei medici rischi che quelli, proprio in quanto medici, avrebbero potuto prevedere ed evitare. Sull’onere probatorio, poi, l’organo giudiziario de quo statuiva che: “la riconduzione della fattispecie concreta ad una ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale porta, dunque, a ritenere la responsabilità della azienda convenuta che non ha fornito la prova liberatoria della causa a lui non imputabile richiesta dall’art. 1218 c.c.”.
Ebbene, anche la Suprema Corte è adamantina nello statuire che ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato (paziente) provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione tale da aver determinato, ai sensi degli artt. 1256 ss c.c., l’impossibilità sopravvenuta della prestazione in via definitiva o temporanea e, quindi, l’eventuale estinzione dell’obbligazione.4

Ebbene, il profilo è nondimeno essenziale nella dialettica tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale atteso che, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per converso, sul danneggiato grava l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, sebbene la regola generale sia fiaccata, tanto dalle disposizioni settoriali strutturate con criteri d’imputazione diversi dalla colpevolezza del responsabile, quanto dal largo impiego delle presunzioni semplici. È facile constatare, quindi, che il creditore pregiudicato dall’inadempimento è in genere favorito rispetto al danneggiato da un fatto illecito ma tale posizione è resa comprensibile dalla differente tipologia delle due fonti di responsabilità civile, perché la preesistenza di un rapporto obbligatorio fa presumere che l’insoddisfazione del credito sia imputabile all’obbligato. “L’art. 1218 c.c. ha soltanto trasfigurato una presunzione de facto in presunzione legale juris tantum”5.

Gli istituti giuridici: responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale

La sentenza de qua evidenzia che la contrapposizione tra i due istituti ha perso parte della sua originaria consistenza. Attraverso la teorizzazione dei c.d. “doveri di protezione” si è cercato di ampliare l’area di dominio della responsabilità contrattuale, estendendola alla violazione di obblighi estranei alla prestazione dedotta in rapporto e ricadenti di per sé (in quanto espressione del principio del neminem laedere) nel terreno tradizionalmente riservato alla responsabilità aquiliana. Di qui la responsabilità da contatto sociale in ambito medico. Ripercorrendone brevemente le radici storiche, si osserva che la contrapposizione nasceva dal differente fondamento che è alla base di ciascuna di tali diverse forme di responsabilità.6

Mentre la responsabilità contrattuale si caratterizza per essere una sanzione dell’inadempimento7 dell’obbligazione, quale dovere specifico verso un determinato soggetto (il creditore), la responsabilità aquiliana scaturisce, invece, dalla violazione di norme di condotta che “regolano la vita sociale e che impongono doveri di rispetto degli interessi altrui a prescindere da una specifica pretesa creditoria”8. In altre parole, la responsabilità contrattuale tutela le parti rispetto ad un rischio specifico di danno, determinato sulla base della particolare relazione instaurata con il contratto, viceversa, nell’ipotesi della responsabilità extracontrattuale manca un programma delle parti e, per questo, non si ravvisa l’esigenza di limitare il risarcimento del danno causalmente collegato all’illecito e, perciò, il danneggiato dovrebbe essere messo nella stessa posizione in cui si sarebbe trovato se l’illecito non fosse stato commesso. La tradizionale distinzione, fondata sull’alternativa tra il generale divieto di alterum laedere e l’esigenza di rispettare un obbligo specifico nei confronti di un soggetto predeterminato, sembra però sfumare, e l’estendersi di zone di confine, perché di dubbia attribuzione o perché rette dalla regola del c.d. cumulo o concorso9, induce a dubitare tanto del valore concettuale, quanto dell’opportunità legislativa della distinzione.10 Ciò non toglie che responsabilità contrattuale ed extracontrattuale mantengano una sostanziale diversità; diversità individuabile nel fatto che, come rileva la dottrina11, nella responsabilità contrattuale l’obbligo di risarcimento assume un carattere “derivato e secondario”, in quanto fondato sulla preesistenza tra le parti di un vincolo obbligatorio e “l’inadempimento lede interessi per la cui conservazione la prestazione stessa è strumentale”12, mentre, nella responsabilità aquiliana, l’obbligo di risarcimento si instaura, con carattere originario o primario, al di fuori di qualsiasi contratto o progetto precedente. Si intende così anche come in materia contrattuale viga l’imputazione cosiddetta oggettiva della responsabilità; che è invece solo uno, dei possibili criteri di responsabilità, nell’altro campo.”13

Ma pure è difficile negare il sempre più recente avvicinamento tra le due responsabilità: il contratto rimane inserito nella sua logica originaria, funzionale alla realizzazione dell’interesse creditorio alla prestazione ma, allo stesso tempo, matura una sempre maggiore attenzione per il debitore; la responsabilità extracontrattuale mantiene alla base la valutazione del comportamento lesivo del danneggiante ma, anch’ella per proprie vie, giunge ad una sempre maggiore attenzione verso la vittima in funzione riparatoria.

Le norme: verso un sottosistema della responsabilità civile

La sentenza in esame appare, inoltre, utile estratto storico al fine di valutare i profili evolutivi dell’ingiustizia del danno atteso che collocavasi nell’anno 2015, estranea, dunque, all’onta innovativa della legge c.d. Gelli-Bianco che interveniva per riqualificare la responsabilità del medico ospedaliero e, con essa, il regime probatorio e l’ambito risarcitorio. Tale sentenza costituisce, invero, esplicazione fattuale del clima d’incertezza che investiva la materia ante-riforma. I punti focali sono numerosi. Il giudicante, in effetti, richiamava in sentenza la disposizione generica dell’art. 3 della l. n. 189/2012, già sottoposta a vaglio di legittimità costituzionale14. Ebbene quest’ultima, intrinsecamente vetusta a fronte dell’attuale normativa, difettava nell’individuazione dei termini in cui riferirsi all’ “esercente la professione sanitaria” ed eludeva l’opzione, in ambito medico, di applicazione di un regime di responsabilità a discapito dell’altro.

Appare sul punto assai datata ed inevitabilmente superata, dunque, l’affermazione del Tribunale de quo secondo cui, preso atto delle incertezze, riconosceva che “deve … escludersi che (con l’art. 3 della l. n. 189/2012) il legislatore abbia inteso esprimere un’opzione a favore di una qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità extracontrattuale.” Infatti, fin dal 1999 la giurisprudenza di legittimità prevalente era unanimemente orientata nel senso di ritenere che la responsabilità medica avesse, in tutti i casi, natura contrattuale inquadrabile nella c.d. responsabilità da “contatto sociale”, tuttavia, questa costruzione avrebbe potuto essere posta in discussione dal richiamo all’art. 2043 c.c., contenuto nell’art.3 della legge Balduzzi, posto che questa norma si riferisce esclusivamente alla responsabilità extracontrattuale. Gli orientamenti prevalenti, su un passaggio storico-giuridico di tale portata, si dividevano in tre categorie: il primo, pure condiviso dal giudicante, escludendo l’esistenza di un mutamento di disciplina, sosteneva che il richiamo all’articolo 2043 c.c. si configurasse quale una semplice affermazione di principio, priva di effetti concreti, una sorta di obiter dictum15.

Ciò in tutta conformità con il principio per cui “in lege aquilia et levissima culpa venit”, nel senso che il legislatore si era soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve anche in ambito della responsabilità extracontrattuale civilistica. Un secondo orientamento riteneva che la nuova disciplina del diritto al risarcimento non valesse per la responsabilità del medico dipendente da struttura pubblica o della medesima struttura e neppure nel rapporto privatistico con il medico libero professionista o con la clinica privata16. Un terzo orientamento era, invece, emerso nella giurisprudenza di merito17: ferma restando la natura contrattuale del rapporto del paziente con il medico di fiducia o con la clinica privata, si era sostenuto che avesse assunto natura extracontrattuale la responsabilità della struttura pubblica e del medico ospedaliero. Sul punto, dirimenti furono le solerti “sostituzioni” della legge Gelli-Bianco. Innanzitutto, a fronte di una disposizione generica da parte dell’art. 3 della l. n. 189/2012 che faceva riferimento all’ “esercente la professione sanitaria”, il testo della nuova disciplina18 è molto più analitico perché si riferisce agli “esercenti le professioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale”19.

Dippiù, l’intervento normativo soccorre a definizione dei determinanti criteri per l’individuazione delle c.d. buone pratiche e delle linee guida affidabili. L’art. 3 della legge Balduzzi si limitava a richiamare, infatti, le buone pratiche e le linee guida “accreditate dalla comunità scientifica”: un criterio del tutto evanescente, in quanto non teneva conto dell’esistenza, validità, credibilità e affidabilità di questo accreditamento. Il testo del nuovo disegno di legge, invece, al suo articolo 5 dispone che gli esercenti le professioni sanitarie si attengano, “salve le specificità del caso concreto”, alle raccomandazioni previste dalle linee guida “elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale.” La norma ha, peraltro, incrementato il numero dei soggetti abilitati alla elaborazione delle linee guida; ha previsto un sistema di pubblicità delle medesime e, quale chiusa, ha indirizzato, in mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie ad attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali.

Sul piano penale, poi, la nuova disciplina introduce il nuovo art. 590 sexies del codice penale che conferma la punibilità per i fatti commessi nell’esercizio della professione sanitaria, ai sensi degli artt. 589 e 590 c.p.; la esclude quando siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi della legge ovvero, in mancanza di queste, come anzidetto, le buone pratiche clinico-assistenziali accreditate dalla comunità scientifica. Rimane fermo il principio che l’esclusione della responsabilità penale – per aver l’agente agito con imperizia, ma rispettato le raccomandazioni previste – non comporta il venir meno della responsabilità civile. Per quanto riguarda la struttura sanitaria, infatti, si prevede che la medesima (art.7 comma 1) risponda, a titolo di responsabilità contrattuale, delle condotte dolose e colpose degli esercenti la professione sanitaria di cui si avvalga. Per l’esercente la professione sanitaria, invece, il comma 3 del medesimo art. 7 prevede che il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tenga conto del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche; non viene, dunque, escluso il diritto al risarcimento, ma è solo l’entità che potrà subire influenza in relazione all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 590 sexies c.p. Lo stesso comma 3 dell’art.7 ribadisce la natura extracontrattuale della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria le cui prestazioni siano ricomprese nelle ipotesi di cui ai primi due commi che però, per espressa previsione, hanno natura contrattuale. Non viene quindi eliminata la discrasia nel prevedere una diversa natura della responsabilità a seconda del soggetto nei cui confronti viene fatta valere.

Ed in effetti, “La responsabilità medica si rivela (…) come uno di quei settori della responsabilità professionale ove i confini tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale sfumano per dare vita, in una sorte di osmosi, ad una configurazione giuridica che partecipa dei caratteri di entrambe, senza rivelare una chiara appartenenza ad una di esse, se non nell’inquadramento formalmente adottato per la singola fattispecie.”20 Sembra allora affermarsi in dottrina l’idea che la responsabilità medica costituisca un sottosistema della responsabilità civile21. “La giurisprudenza (…) ha provveduto ad elaborare un corpo unitario di regole in tema di responsabilità medica (…). Questo regime di responsabilità medica – un regime uniforme e per così dire transtipico (nel senso che taglia orizzontalmente e, per così dire, supera i comparti corrispondenti ai due classici “tipi” della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, definendosi piuttosto in funzione del suo oggetto materiale, del genere di attività regolata e del genere di conseguenze che possono derivarne) si sostanzia in una serie di regole, generalmente applicabili per stabilire se la struttura sanitaria e il professionista cui il paziente si è affidato rispondono verso costui per gli esiti insoddisfacenti del trattamento praticato”22.

Chi osserva questo fenomeno, con particolare riferimento agli attuali orientamenti della giurisprudenza, non può fare a meno di constatare come, a un più largo ricorso all’azione contrattuale, corrisponda poi una forte preponderanza di regole operative di stampo aquiliano. Nel linguaggio delle “massime mentitorie” si assisterebbe a una “metamorforsi dell’inadempimento contrattuale in illecito aquiliano”23. La questione sollevata va oltre il problema del concorso tra le due forme di azioni, e riguarda la possibilità di configurare la responsabilità del medico appunto come una forma di responsabilità a sé stante, un “sottosistema della responsabilità civile” in cui l’interesse a proteggere il bene salute suggerisce la rottura o la facile trasmigrazione di regole operative appartenenti originariamente a sistemi diversi. La tendenza a valutare anche la responsabilità contrattuale con i parametri tipici di quella aquiliana emerge in particolare con riferimento al danno (qualificato comunque sulla base della sua “ingiustizia”, prima e piuttosto che su quello della sua risarcibilità ex art. 1223 c.c.) e al nesso di causalità (in cui si dà risalto al nesso tra condotta ed evento, secondo il modello aquiliano appunto, più che contrattuale). Conclusioni diverse possono invece trarsi a proposito della valutazione del profilo soggettivo dell’illecito, per il quale sembra che l’assimilazione avvenga piuttosto sul piano della responsabilità contrattuale, per cui la colpa si configura quale non imputabilità della causa di impossibilità della prestazione (intesa quale impossibilità di evitare l’evento lesivo). La generalizzata applicazione dell’art. 2236 c.c. rappresenta in tal senso un indice significativo, soprattutto là dove si afferma che la norma conduca all’imposizione di un più elevato livello di diligenza nei confronti del professionista24.

Sul quantum debeatur

La sentenza in commento, sull’onda dell’orientamento delle Sentenze San Martino, decide per l’unitarietà del danno, le cui sottocategorie (tra cui il danno morale) risultano meramente descrittive dell’autonoma macrocategoria unitaria di danno, onde evitare la c.d. duplicazione risarcitoria. Epperò, ad avviso di chi scrive, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde del tutto dalle vicende relazionali della vita del danneggiato (che pure può influenzare) ed è insuscettibile di accertamento medico-legale, sicché, dedotto e provato, deve formare oggetto di una separata valutazione e di un’autonoma liquidazione rispetto al danno biologico.

Una volta «superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d’animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare, ma sarebbe meglio dire nella sofferenza morale determinata dal non poter fare, è risarcibile»25. In particolare, la terza sezione della Corte di Cassazione ha svolto in questi anni un importante ruolo di incubatore giuridico nel quale si è elaborato un nuovo statuto del danno non patrimoniale, molto diverso da quello consegnatoci dalle Sezioni Unite nel 2008, in cui si tiene in debita considerazione la c.d. “fenomenologia del danno alla persona”, ossia le circostanze del caso concreto che impongono la valutazione di tutti i pregiudizi non patrimoniali e che pienamente giustificano l’autonoma risarcibilità del dolore interiore e della significativa alterazione della vita quotidiana, trattandosi di pregiudizi attraverso i quali si esplica la sofferenza umana. Insomma «il danno morale, ossia la sofferenza soggettiva, non avente fondamento medico legale, sfugge per definizione ad una valutazione aprioristica, ma deve essere allegato, provato e valutato nella sua concreta, multiforme e variabile fenomenologia che nessuna ragione logica, oltre che nessun fondamento positivo, consente di rapportare in termini standardizzati alla gravità della lesione all’integrità psico-fisica»26.

La valorizzazione della fenomenologia del danno è insita proprio in questo passaggio, perché si riconosce come anche le modificazioni negative della vita del danneggiato destinate ad accompagnarlo, potenzialmente anche per il resto della vita, siano il risultato della permanenza di una sofferenza che il soggetto non riesce a superare; una permanenza che, dall’interiorità, si proietta anche all’esterno della persona, influendo negativamente sulle attività realizzatrici che quest’ultima può compiere.

Conclusioni

Siano consentite alcune riflessioni finali sulla dissertazione appena conclusa.

L’elaborato tratta di una materia che sta suscitando negli ultimi anni un interesse sempre più profondo per l’operatore giudiziario, per lo studioso di diritto civile ma anche per il non giurista.

La ragione è evidente: il sistema della responsabilità civile diventa luogo privilegiato (assai più, forse, di una ricerca sul campo di carattere sociologico) per conoscere atteggiamenti, abitudini, aspirazioni, culture differenti nella nostra società. Di fatti, l’ermeneutica del danno ingiusto fa immediatamente emergere un’intrinseca politicità del tema, il quale non può più essere impostato soltanto su basi tecniche. La questione del se, del perché, del come, e soprattutto del quanto risarcire è eminentemente politica. A maggior ragione se consideriamo che il legislatore del ‘42 non ha fornito alcuna indicazione in ordine al concetto di danno come a quello di ingiustizia né, tantomeno, a quello di colpa. Naturale odierna conseguenza, dunque, è l’estensione della responsabilità civile.

Nell’evoluzione storica, seppur in forme e contenuti diversi, da sempre si manifestano due tendenze, ora concorrenti, ora contrapposte, ora in qualche misura coordinate. Da un lato, ad ampliare l’onere del danno risarcibile, al di là del dato normativo codificato; dall’altro a precisare, specificare, classificare, in modo da non assicurare sempre e comunque la soddisfazione di qualsiasi pretesa, ma di effettuare piuttosto, in qualche misura, quella che viene definita, con espressione moderna, come ‘selezione degli interessi meritevoli di tutela’. E ciò per una ragione la quale ancora una volta rivela la permeabilità del tema: se i confini della responsabilità civile, pur sempre mobili, vengono meno perché si afferma la risarcibilità della lesione di qualunque interesse, qualificato da un giudice come giuridicamente rilevante, la conseguenza è che la sfera dell’autoresponsabilità individuale necessariamente si restringe. Nella dimensione sociale dell’individuo, inevitabile è l’incontro fra quest’ultimo e il dovere informato ad una solidarietà che si esplica, giustappunto, nei termini di un’autoresponsabilità, che è espressione del civismo e dello spirito civico. Da questo incontro scaturisce, in via immediata, la percezione che ciascun consociato ha tra il sé e la collettività (in termini di reciproche pretese fondate sul principio di solidarietà) rispetto all’ambito dell’agire individuale e rispetto alle conseguenze che da tale agire discenderanno.

Da qui, il pericolo di un bilanciamento tra gli interessi in conflitto, legittimato dalla mera autorevolezza di chi lo effettua: la giurisprudenza, nello specifico, nel mutato ruolo acquisito. Oggi, infatti, la giurisprudenza svolge il ruolo di primaria fonte del diritto, in chiave non solo integrativa ma anche oppositiva, rispetto, se non alla volontà del legislatore, quanto meno al testo della disposizione. Eppure, grandi sono le preoccupazioni nel senso di restringere il potere del giudice, sì da evitare la cosiddetta “tirannia del caso concreto”, nel timore che possa condurre ad una idiosincrasia assiologica. Al giudice tocca scegliere e il magistrato è investito di un compito estremamente gravoso: quello di farsi interprete della coscienza sociale e dei valori dominanti o magari emergenti nella nostra società, in questo determinato momento storico. È in fondo, per molti versi, l’affermazione della dignità della persona. Oggi si registra una sempre più diffusa consapevolezza dei propri diritti, della propria dignità e sicurezza ed una più decisa volontà di soddisfazione, che coinvolge tutti gli strati della popolazione.

Nelle inedite occasioni di danno che si vanno diffondendo non ci si riferisce soltanto ai danni patrimoniali, che hanno un’immediata consistenza economica, ma pure alla violazione di valori ed interessi collegati alla persona, che presentano rilevanti profili extrapatrimoniali. E riveste, in tal senso, particolare rilevanza, l’irruzione, se così possiamo definirla, della responsabilità civile in materia contrattuale, che ha travolto convinzioni ed abitudini consolidate da tempo immemorabile: in un settore caratterizzato più che mai dalla rigorosa tutela dell’interesse individuale ad ogni costo, caduta ormai l’illusione che il perseguimento di tale interesse costituisca il presupposto per la realizzazione di quello generale, si pone (seppur con estrema cautela) qualche limite a tale tutela, si introduce nelle sentenze qualche forma indiretta di solidarietà, si applica per la prima volta in tutta la sua portata il principio costituzionale dell’art.41 Cost: l’iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. È un’indiscutibile vittoria dello schema, antico ma ancora fecondo, della responsabilità civile. E da qui l’odierno avvicinamento della responsabilità civile a temi quali la solidarietà, la responsabilità, l’autoresponsabilità, nell’intento di abbandonare l’esasperato individualismo prendendo coscienza del nuovo campo d’azione: la dimensione collettiva del danno e la socializzazione del rischio. In conclusione, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia conferma, ancora una volta, non solo di essere sempre al passo con i mutati orientamenti e con la diversa sensibilità del momento storico in cui sono stati prodotti ma anche, e soprattutto, che il corretto inquadramento di ogni istituto giuridico è sempre, e non può essere diversamente, quello costituzionalmente orientato.

Anche il danno ingiusto e le sue forme di responsabilità, in definitiva, vanno lette alla luce dei principi generali del nostro ordinamento giuridico. Ogni interpretazione, sia essa giurisprudenziale che dottrinaria, dev’essere sistematica cioè non può prescindere da una attenta e congruente lettura del diritto civile nella legalità costituzionale. Se questa è la bussola dell’interprete, la produzione del giurista e del giudice non possono che risultare congruenti, pertinenti, oserei dire conseguenti. Naturalmente, tutto ciò sarà irrimediabilmente condizionato dalla diversa sensibilità dell’interprete, dalla sua formazione e, più in generale, dalla sua “educazione”. L’uomo, infatti, è un animale sociale fortemente influenzato dal contesto in cui si forma, cresce e si sviluppa. Questo contesto costituirà, in ogni manifestazione della sua vita, anche inconsciamente un inevitabile condizionamento delle sue azioni; un animo educato matura sempre una sensibilità maggiore e questa traspare, all’occhio più provveduto, dalla lettura della sua produzione culturale, sia essa dottrinari.

Avv. Nicola Piluso e Dott.ssa Matilde Piluso

Note

  1. Cassazione civile sez. un., 11/01/2008, n.577; sulla stessa linea v. anche Tribunale Bari sez. III, 09/05/2024, n.2147; Tribunale Vibo Valentia sez. I, 02/11/2022, n.653: “In tema di responsabilità del medico e della struttura sanitaria, il rapporto tra il paziente e la struttura sanitaria (sia essa parte del S.S.N. o un’impresa privata non convenzionata) è regolato da un contratto atipico di spedalità che ha ad oggetto sia la prestazione sanitaria del medico che prestazioni accessorie e secondarie. La struttura ospedaliera risponde ex art. 1218 c.c. dell’inadempimento a lei direttamente riferibile e dell’operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari (ex art. 1228 c.c.). Il paziente – danneggiato ha l’onere di fornire la prova del contratto, del danno subito e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari che dovrà, invece, essere oggetto di mera allegazione, purché in termini; mentre la struttura ospedaliera deve dimostrare che la prestazione professionale del personale medico sia stata eseguita in modo diligente, secondo i canoni richiesti dalla legge”. ↩︎
  2. Tribunale Pisa sez. I, 25/10/2022, n.1278 ↩︎
  3. In dottrina v. C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, Jus., 1976, 123 ss.; C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione, in Enc. Giur., XXI, 1990, 1 ss.; L. MENGONI, La parte generale delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 508 ss.; F. BENATTI, voce Doveri di protezione, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1994; C. CASTRONOVO, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim., 1960, 1342 ss.; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. c.c. SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1988, 121 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, 169; BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. SCIALOJA-BRANCA, Zanichelli, Bologna-Roma, 1967, 34. ↩︎
  4. Cass. 26.07.2017 n. 18392; in senso conforme Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; Cass. 31.07.2013 n. 18341; Cass. 12 settembre 2013, n. 20904; Cass. 20.10.2015, n. 21177; Cass. 14.11.2017 n. 26824; Cass. 7.12.2017 n. 29315; Cass. 15.02.2018 n. 3704; Cass. 21.03.2018 N. 7044, Cass. 19.07.2018, n. 19204, Cass. 20.11.2018 n. 29853, Cass. 26.02.2019 n. 5487, Cass. n. 28991 e 28992 del 2019; Cass. Ordinanza 31.08.2020 n. 18102 e, da ultimo, Cass. 26.11.2020 n. 26907 ↩︎
  5. Così G. ANZANI, L’”ingiustizia del danno” in una relazione qualificata. Per un nuovo confine tra le due specie di responsabilità, in Jura. Temi e problemi del diritto, ETS, 2023, pp. 77 ss ↩︎
  6. F. GIARDINA, Responsabilità aquiliana e da inadempimento: un tema che non ha solo il fascino della tradizione, in DResp, 1997 ↩︎
  7. G. DI GIANDOMENICO, in Rdcomm. 2008, I, 625, reputa applicabile in via analogica la disciplina dell’inadempimento alla violazione dei vari rapporti giuridici che, pur non qualificabili come obbligazioni, sono connotati dalla specificità dei soggetti. ↩︎
  8. C.M. BIANCA, Diritto Civile. La responsabilità, 5, Giuffrè, Milano, 2020 ↩︎
  9.  F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, in DResp, 1997 ↩︎
  10.  Sul punto v. G. ALPA, Responsabilità civile e danno, Il Mulino, Bologna, 1991 ↩︎
  11.  C. ROSSELLO, ibidem; F. GIARDINA, ibidem; C.M. BIANCA, Diritto Civile., cit.; M. FRANZONI, Fatti illeciti: art. 2043-2059, in Commentario cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, 2020 ↩︎
  12. A. DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, I-II, Giuffrè, Milano, 1979 ↩︎
  13.  C. SALVI, Responsabilità extracontrattuale (dir.vig.), in ED, XXXIX, Giuffrè, Milano, 1186-1265, 1988 ↩︎
  14. Trib. Milano, sez IX, (ord.), 21 marzo 2013 (dep.), Giud. Giordano, imp. Andreata e altri, in Dir. pen. contemp. Del 29 marzo 2013, con nota di M. SCOLETTA, Rispetto delle linee guida e non punibilità della colpa lieve dell’operatore sanitario: la “norma penale di favore” al giudizio della Corte costituzionale. Tribunale di Milano, ordinanza 21 marzo 2013, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 l. 189/2012 per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 27, 28, 32, 33 e 111 Cost. La Corte costituzionale, con ordinanza 6 dicembre 2013 n. 295351, si è espressa nel senso della manifesta inammissibilità della questione. ↩︎
  15. Si veda la sentenza Cass., sez. III, 19 febbraio 2013 n. 4030, inserita per riassunto in Giur. it., 2013, 494: “la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico (…) la esimente penale non elide l’illecito civile (…) resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile, che è clausola generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti inviolabili quale è la salute”. Inoltre, la Cassazione ribadisce come “la responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale”. ↩︎
  16.  In questo senso v. B. GRAZZINI, Responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie e rischio clinico nel c.d. “Decreto Balduzzi”, in «Corr. giur.», 2013, 1239 ss. cui si rinvia anche per le considerazioni riguardanti i riflessi della riforma sul risarcimento del danno non patrimoniale. ↩︎
  17. La prima decisione di merito che ha affrontato il tema ha ritenuto (incidentalmente perché nel caso esaminato la prestazione era stata contrattualmente convenuta) che la formulazione dell’art. 3, per quanto riguarda la responsabilità civile, fosse idonea per un ritorno alla costruzione affermatasi fino al 1999 quando la responsabilità, in mancanza di contratto, poteva essere affermata soltanto a seguito dell’esercizio dell’azione aquiliana ex art. 2043 c.c. Si tratta di Trib. Varese 26 novembre 2012 n. 1406, pubblicata in Guida dir., 213, n.5, 36, con nota di F. MARTINI, La previsione riguarda solo le ipotesi per “contatto” dove non c’è accordo scritto tra paziente e sanitario. ↩︎
  18. I primi commenti al testo sono quelli di C. CUPELLI, Alle porte la nuova responsabilità penale degli operatori sanitari. Buoni propositi, facili entusiasmi, prime perplessità, in Dir. pen. contemp. del 16 gennaio 2017; F. MARTINI, Norme in arrivo per colpa medica e sicurezza nelle cure, in Guida dir., 2017, fasc. n. 6, 13; M. HAZAN, Alla vigilia di un cambiamento profondo: la riforma della responsabilità medica e della sua assicurazione (DDL Gelli), in Danno e resp., 2017, 75; F. CENTONZE e M. CAPUTO, La risposta penale alla malpractice: il dedalo di interpretazioni disegnato dalla riforma Gelli-Bianco, in Riv. it. med. leg., 2016, 1362. ↩︎
  19. Non è detto che si tratti di una scelta ragionevole. Il metodo di elencare analiticamente i casi ai quali si applica una disciplina normativa comporta sempre il rischio della mancata inclusione di ipotesi analoghe o che comunque non v’è ragione d’escludere. ↩︎
  20. . DE MATTEIS, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenze giurisprudenziali, in CI, 1995 ↩︎
  21. esame v. anche M. ZANA, Responsabilità medica e tutela del paziente, Giuffrè, Milano, 1993, 60 ↩︎
  22.  V. ROPPO, La responsabilità civile dell’impresa nel settore dei servizi innovativi, in CI, 1993 ↩︎
  23. Ancora R. DE MATTEIS, La responsabilità medica, op. cit. ↩︎
  24. Così P.G. MONATERI, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova, 1980 ↩︎
  25. Sez. Un. civ., 11 novembre 2008, n. 2697 ↩︎
  26. Cass. civ., 4 febbraio 2020, n. 24 ↩︎
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