Il Consiglio di Stato si pronuncia sul bilanciamento tra il diritto di accesso agli atti amministrativi e la riservatezza di detti atti riguardanti bullismo a scuola, perché coperti dal segreto professionale opposto dallo Psicologo. (Cons. di Stato, sez. VII, 19 settembre 2024, n. 7658).
La vicenda
Un’alunna della scuola superiore subiva atti di prepotenza e bullismo da parte di un compagno di classe, tuttavia le veniva respinta la richiesta di cambio di sezione e l’anno successivo si trasferiva presso un altro Liceo.
I genitori della ragazza chiedevano di poter accedere ai documenti amministrativi scolastici per poter acquisire il verbale dell’assemblea, la relazione della psicologa della scuola e della professoressa referente per il bullismo a scuola, in seguito al percorso iniziato con la classe. La scuola esibiva solo il verbale della riunione di classe ma non la relazione del referente per il bullismo, né quella della Psicologa.
Il ricorso al TAR Toscana ed il provvedimento di diniego
I genitori dell’alunna si rivolgono al TAR sostenendo la illegittimità del diniego. L’Istituto, invece, affermava che la relazione della Psicologa riguardava l’intervento collettivo di tutta la classe, relativo ad un più ampio progetto scolastico, autonomo ed indipendente rispetto ai fenomeni occorsi.
Il TAR rigetta il ricorso ritenendo che l’opposizione del segreto professionale precludesse, in radice, l’esercizio del diritto di accesso, senza necessità di effettuare alcun tipo di bilanciamento con altri interessi.
Contro tale sentenza, la madre e la alunna, divenuta maggiorenne nelle more, ricorrono al Consiglio di Stato, che rigetta.
Viene dedotta la sussistenza di un interesse difensivo concreto ed attuale della parte ad ottenere la documentazione richiesta, come attestato dai fatti in narrativa e dalla stessa denuncia penale presentata, e viene contestata l’illegittimità della decisione di primo grado, per aver ritenuto che, nel caso di specie, fosse opponibile il segreto professionale.
Le ricorrenti sostengono che il segreto professionale sarebbe stato opposto solo in un momento successivo al primo diniego. Mentre, in occasione delle precedenti richieste, alcuna motivazione in tal senso era stata espressa dall’amministrazione intimata il che, anche volendo, impediva al primo Giudice di qualificare la dichiarazione della psicologa come atto rinnovativo di una precedente opposizione all’ostensione.
Il Consiglio di Stato respinge la censura
Il diritto di accesso è escluso, tra gli altri, nei casi – in cui senz’altro rientra quello in specie, in quanto segreto professionale – di segreti e di divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge.
Non rileva, pertanto, che l’opposizione rappresentata dalla professionista che ha redatto il documento sia stata prima espressa informalmente, e solo successivamente sia stata formalizzata, perché non è evidentemente quest’atto ad impedire l’ostensione che era invece, già in origine preclusa attesa la natura del documento ed il segreto professionale che impediva di esercitare il diritto di accesso.
Sostiene la parte ricorrente che il primo Giudice avrebbe errato nel ritenere che il segreto professionale, imposto dall’art.11 del codice deontologico degli psicologi, sia assoluto rispetto al diritto di accesso, nel senso che sia sempre e comunque opponibile al titolare del relativo diritto. Tale segreto debba, piuttosto, essere relativizzato a maggior ragione allorquando, come in questo caso, l’attività professionale sia fuoriuscita dal rapporto con il singolo assistito, per inserirsi in una più ampia attività procedimentale condotta da una Pubblica Amministrazione, nel caso di specie, appunto il ricordato “progetto benessere” avviato dalla scuola con riferimento alla classe di appartenenza dell’appellante.
Il ragionamento posto a base della doglianza non considera la funzione e l’attività professionale dello psicologo che interviene terapeuticamente, non solo con riferimento ad un singolo assistito, ma anche, di norma, ed anzi sempre più frequentemente, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, nei confronti di un gruppo ristretto di individui.
Il segreto professionale non è posto solo a tutela degli assistiti
Quando l’intervento professionale si rivolge a “un gruppo” serve a risolvere o a prevenire conflitti che si siano generati, o possano generarsi, all’interno della relativa comunità, o anche solo – il che accade sovente nel caso di interventi su singole classi di studenti delle scuole superiori – è richiesto al fine di meglio orientare le relazioni dei singoli fra loro, dei singoli con il gruppo e del gruppo con i singoli.
Ed è proprio in tale prospettiva che deve essere vagliato il segreto professionale opposto dalla Psicologa della scuola. Infatti, nel caso di specie, il consenso del singolo componente del gruppo, o, in ipotesi, il consenso espresso da tutti componenti del gruppo oggetto dell’intervento, non avrebbero comunque potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l’oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest’ultimo con l’intera classe di riferimento, il che, in certo senso, rafforza – e dunque produce un effetto esattamente inverso – la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri svolti in classe e sugli esiti degli stessi.
Il segreto professionale non è posto solo a tutela degli assistiti. Ritiene il Consiglio che, invece, il segreto professionale è posto anche a tutela della libertà di scienza che, nell’esercizio dell’attività professionale, è garantita ai prestatori d’opera intellettuale nel nostro ordinamento, ai sensi di quanto previsto dall’art.2239 del c.c. e, soprattutto, dal comma 1 dell’art.33 della Costituzione.
Se non si garantisse la riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni da costoro espresse nel corso dell’attività professionale, quella libertà potrebbe essere seriamente compromessa.
Conclusivamente, il Consiglio di Stato rigetta l’appello.
Avv. Emanuela Foligno
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