Nessuna interruzione del nesso eziologico per la condotta dei sanitari in relazione al decesso del lavoratore, morto dopo essere stato colpito dalla benna idraulica in movimento

L’eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito. Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 28156/2021 nel pronunciarsi sul ricorso di un datore di lavoro condannato per il reato di omicidio colposo. L’imputato, nello specifico, era accusato di aver cagionato la morte del dipendente, che prestava mansioni di operaio, per non avere adottato misure tecniche e/o organizzative atte ad impedire l’accesso ai lavoratori nelle zone in cui vi sono veicoli in movimento (in particolare, la benna idraulica risultava priva di telecamera giroscopica); ciò determinava l’incidente, atteso che l’operaio veniva inavvertitamente colpito dalla benna idraulica in movimento poco dopo essere uscito dal capannone per recuperare l’elmetto di protezione, subendo lesioni che circa un mese dopo il fatto lo conducevano a morte per una insufficienza multiorgano conseguente a sepsi e shock settico in paziente ospedalizzato per politrauma.

Nel rivolgersi ai Giudici del Palazzaccio, il ricorrente eccepiva, tra gli altri motivi, vizio di motivazione in relazione al nesso eziologico tra infortunio e decesso della persona offesa. Osservava, in particolare, che il perito aveva ricondotto la causa del decesso del lavoratore a una sindrome infiammatoria (SIRS) dovuta al generale indebolimento del paziente, alla prolungata degenza e allo stato di politraumatismo. Il giudice di appello ne aveva ricavato che l’infezione non potesse considerarsi una causa del tutto nuova, imprevedibile rispetto all’evento infortunio. Deduceva che “tuttavia, non ogni permanenza ospedaliera espone al rischio di gravi infezioni e non ogni infezione può essere riferibile a batteri residenti o stanziali negli ospedali. Non si può escludere che una infezione sia contratta in ospedale per colpa riferibile alla struttura sanitaria o al singolo operatore sanitario, con conseguente interruzione del nesso di causalità fra infortunio ed evento morte”. Nella specie non sarebbe mai stata localizzata l’infezione né la tipologia, rimanendo pertanto lacunosa la derivazione medica dello stato di sepsi. L’operaio era stato trattato con terapia antibiotica a largo spettro per 9 giorni, per poi essere interrotta. Nulla aveva detto il perito sull’opportunità o meno di sospendere tale terapia. Il consulente, inoltre, in sede di esame avrebbe formulato alcune tesi palesemente contraddittorie e incongrue rispetto alle premesse da cui si era mosso, avendo affermato che solo dopo l’interruzione della terapia antibiotica si era determinato il rapido aggravamento del paziente. Risultava evidente come l’insorgenza di una infezione non era un evento del tutto impossibile da scongiurare e da prevenire, e tale questione non era stata esplorata dalla sentenza impugnata.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto le argomentazioni proposte prive di fondamento.

Nel caso in esame, infatti, i giudici dì merito avevano insindacabilmente accertato come l’evento letale fosse dipeso da una insufficienza multiorgano conseguente a sepsi e shock settico in paziente ospedalizzato per politrauma con trauma del bacino. I giudici avevano fatto proprie le considerazioni del perito, il quale aveva indicato proprio nel trauma del bacìno una condizione patologica ad elevato rischio di infezione ed elevata mortalità ospedaliera; affermazione che non era stata ritenuta incoerente con il temporaneo miglioramento del paziente nei giorni successivi all’intervento di stabilizzazione delle fratture, essendo stato ciò ritenuto compatibile con il contemporaneo silente sviluppo di un sìero-ematoma a livello della coscia sinistra, con insorgenza di un’infezione che aveva, quindi, attinto proprio la parte interessata dalla lesione provocata dall’infortunio in disamina. A sostegno di tale conclusione il perito – premesso l’elevato rischio infettivo al quale veniva esposto l’operaio a seguito del trattamento embolico, delle molteplici trasfusioni ematiche e degli interventi di stabilizzazione ortopedica necessitati dal politraumatismo – aveva sottolineato la stretta correlazione temporale tra insorgenza della raccolta siero-ematica e lo sviluppo di segni e sintomi di infezione, nonché tra questi e l’exitus del paziente.

Le censure dei ricorrenti sul punto – essenzialmente tese a sostenere l’interruzione del nesso eziologico in quanto l’infezione avrebbe potuto e dovuto essere scongiurata dai sanitari – oltre a porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, erano prospettate in maniera ipotetica e congetturale, per cui non potevano essere prese in seria considerazione, a fronte di una “doppia conforme” che aveva individuato il nesso di causa sulla scorta di un ragionamento logico, privo di errori in diritto e sorretto da solide basi scientifiche.

La redazione giuridica

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