La vittima era deceduta per le lesioni riportate in un sinistro dopo essere stata sbalzata fuori dall’abitacolo della propria vettura in seguito all’urto
L’utente della strada ha l’obbligo non solo di regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose, ma deve anche preoccuparsi delle prevedibili irregolarità di comportamento degli altri, che possano determinare situazioni di pericolo ed adeguarvi conseguentemente la propria condotta. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 28163/2021, pronunciandosi sul ricorso di un automobilista condannato in sede di merito per il reato di cui all’art. 589-bis cod. pen. per aver cagionato la morte della conducente di un altro veicolo, per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nella violazione degli artt. 140, 141, 142 e 146 cod. strada. In particolare, in base alla ricostruzione dell’incidente, l’imputato, alla guida della propria vettura Audi, procedendo ad una velocità di almeno 113 km/h, di gran lunga superiore al limite previsto nel tratto di strada percorso, pari a 70 km/h, in prossimità di un’intersezione, collideva con la vettura della vittima che impegnava l’intersezione, urtandola violentemente. In seguito all’urto, la vettura antagonista ruotava su se stessa e andava a sbattere contro il guardrail. Nel corso di tale evoluzione, la conducente, priva delle cinture di sicurezza, era sbalzata fuori dall’abitacolo, decedendo a causa delle gravissime lesioni riportate.
I giudici avevano ritenuto responsabile dell’occorso l’imputato, individuando un concorso di colpa della vittima, che non aveva dato la precedenza, stimato nel 25%.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente contestava alla Corte territoriale di aver fondato il proprio giudizio su una interpretazione letterale dell’art. 41 cod. pen. Pur riconoscendo il concorso di colpa in misura rilevante, i giudici avevano ritenuto sufficiente la velocità serbata dal ricorrente per addossare a questi la responsabilità dell’evento. Dall’esame delle circostanze dell’incidente, così come ricostruite dai consulenti delle parti e fatte proprie dai giudici, emergeva, come dedotto nell’atto dì appello, che la responsabilità dell’imputato doveva essere valutata diversamente, in applicazione del principio che impone di pronunciare sentenza di condanna soltanto quando la responsabilità sia accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Circa la responsabilità dell’imputato, ove fosse stata condotta un’attenta disamina dei fatti, si sarebbe dovuto addivenire all’assoluzione del ricorrente, quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. Talune circostanze di fatto, emerse nel corso dell’istruttoria, avrebbero dovuto essere diversamente valutate, essendo incerto il loro verificarsi. In particolare, non si conosceva se la vittima si fosse fermata prima di immettersi sulla strada o se avesse del tutto inottemperato di dare la precedenza. Sarebbero state incerte le velocità serbate dai veicoli e le condizioni atmosferiche esistenti al momento dell’incidente, benché la sentenza gravata assumesse in motivazione che al momento del sinistro incombesse una forte pioggia. Sarebbe stato poi del tutto inspiegabile la proiezione del corpo della vittima fuori dall’abitacolo della vettura in seguito all’esplosione degli airbag. Era di tutta evidenza che anche un uomo giovane ed agile farebbe fatica ad uscire dal finestrino aperto dell’auto. La circostanza, altamente improbabile, avrebbe richiesto una valutazione attentissima, del tutto mancante nel corpo della motivazione.
Gli Ermellini hanno ritenuto le doglianze proposte inammissibili.
La Corte di merito, infatti, aveva fornito adeguata risposta alle doglianze difensive, pervenendo ad una ricostruzione del fatto del tutto logica e coerente rispetto alle circostanze rappresentate nel corpo della sentenza. In motivazione si poneva in rilievo come la velocità serbata dal ricorrente fosse di gran lunga superiore al limite vigente sulla strada percorsa: il consulente tecnico del P.M. e quello della parte civile avevano accertato, sulla base dell’esame della traiettoria seguita dalla vettura della vittima in seguito all’urto, che l’Audi condotta dall’imputato viaggiava ad una velocità stimata tra i 110 e i 118 chilometri orari. Quanto alle condizioni atmosferiche, si era evidenziato in sentenza che i Carabinieri avevano dichiarato, nel corso dell’esame testimoniale, che, all’atto del loro intervento, pioveva. La Corte di merito si era poi soffermata sulla ricostruzione offerta dal consulente nominato dall’imputato, confutando, con argomentazioni logiche e puntuali, le diverse conclusioni a cui era pervenuto. Dagli elementi acquisiti i giudici avevano desunto, in modo logico, che lo scontro si sarebbe potuto evitare se il ricorrente avesse viaggiato ad una velocità di circa 60 km/h: in tal caso, il ricorrente si sarebbe potuto rendere conto dell’immissione della vettura antagonista sulla strada e avrebbe avuto spazio sufficiente per arrestare il veicolo (stimato dal consulente in 40 metri), approntando una manovra idonea ad evitare l’urto. L’osservanza di un limite di velocità inferiore a quello previsto, pari a 70 km/h, era esigibile nelle circostanze in cui si verificò il sinistro. In proposito i giudici hanno puntualizzato che, viaggiando in orario notturno, in condizioni atmosferiche avverse ed in prossimità di un incrocio stradale, il ricorrente, in ossequio a quanto previsto dall’art. 141 cod. strada, avrebbe dovuto essere particolarmente prudente nel regolare la sua velocità.
La Corte di merito aveva inoltre evidenziato come, sulla base delle testimonianze acquisite e della ricostruzione offerta dal consulente del P.M., fosse stato pacificamente accertato che la vittima, che non aveva allacciato le cinture di sicurezza, in conseguenza dello scoppio dell’airbag e del movimento rotatorio impresso alla sua auto, venne sbalzato fuori dall’abitacolo attraverso il finestrino aperto.
La Suprema Corte, infine, ha specificato che è ius receptum nella giurisprudenza di legittimità, in materia di responsabilità da circolazione stradale, che l’utente della strada debba essere considerato esente da penale responsabilità soltanto ove si dimostri che la sua condotta sia stata immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica (osservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline), che della colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia). Invero, soltanto in questo caso si potrà validamente sostenere che la sua condotta abbia assunto il connotato di semplice occasione dell’evento. Nel caso in esame, come correttamente argomentato dalla Corte di merito, doveva escludersi che ciò si fosse verificato, essendo il ricorrente incorso in plurime violazioni del codice delta strada ed avendo, con la velocità serbata, contribuito a determinare l’evento.
La redazione giuridica
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