Danni motori all’emisfero sinistro post parto distocico

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Citati a giudizio il Policlinico Madonna della Consolazione e il primario della equipe medica per i danni subiti dal neonato nel corso del parto distocico. Le CTU svolte in primo e secondo grado conducono a esiti opposti e la Cassazione conferma il secondo grado (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 2 dicembre 2024, n. 30819).

I fatti

Nello specifico, il parto si presentava distocico ed era indotto farmacologicamente in primigravida. Nel corso di esso i medici impiegavano la ventosa ostetrica/V.E. (vacuum extractor). La neonata presentava alla nascita un giro di cordone/funicolo intorno al collo ed un “indice Apgar” di 5 a 1/m. e 10 a 5/m. La madre si avvedeva, già durante i primi sei mesi di vita della figlia, che la bambina apriva con difficoltà la mano destra ed era affetta da equinismo.

Raggiunti i 10 mesi della piccola, presso la Clinica Pediatrica dell’Istituto Gaslini di Genova, erano diagnosticati danni motori all’emisfero sinistro. A 18 presentava crisi convulsive, trattate con terapie benzodiazepiniche in corso di iperpiressia. Successivamente veniva anche confermato un ritardo nello sviluppo del linguaggio.

In data 20/6/1994 alla minore veniva riscontrato, in conseguenza dell’applicazione della ventosa durante il parto distocico e della sofferenza asfittica perinatale, un trauma responsabile di un serio danno motorio che le comporta: miastenia all’emilato destro, più accentuato all’arto superiore, con deficit di prensione alla mano, incertezza alla deambulazione, lieve zoppia, turbe del linguaggio, leggero strabismo convergente a destra con note di disfagia; cominzialità in soggetto con anamnesi di crisi convulsive febbrili; labilità emotivo affettiva con crisi pitiatiche; il tutto computato in un danno biologico pari al 45% del totale.

La vicenda giudiziaria e la doppia CTU

Instaurato il giudizio civile, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la domanda basandosi sul fatto che la CTU aveva dato atto che la vittima risultava “affetta da polimicrogiria emisferica sinistra e che le patologie riscontrate non erano dovute a sofferenza natale o perinatale, ma ad una malformazione cerebrale verificatasi probabilmente tra il III e il V mese; o, piuttosto, tra il V e il VII mese di gestazione, in epoca, comunque, antecedente al parto. Il ricorso alla ventosa nel corso del parto distocico era da considerarsi realizzato secondo le regole dell’arte ostetrica e che non vi erano ragioni che potessero fare ipotizzare una relazione tra l’uso di tale strumento e i disturbi patologici manifestati dalla bambina e in conclusione, la condotta dei sanitari non aveva quindi causato alcun danno, né da essa si erano generati postumi permanenti invalidanti”.

La Corte d’appello, dopo aver chiamato a chiarimenti il CTU del primo grado, disponeva la rinnovazione della CTU. Con essa, i secondi Consulenti riconducevano tutte le patologie manifestate dalla piccola ai postumi di una ipossia perinatale e natale, iniziata al momento della rottura delle acque, prima che la gestante fosse ricoverata presso il Policlinico Madonna della Consolazione ed accentuata dalla condotta dei sanitari della Casa di Cura e dall’utilizzo al parto distocico della ventosa ostetrica in luogo del taglio cesareo.

La Corte d’appello con la sentenza n. 1031/2019, accoglieva parzialmente l’appello proposto dagli attori e condannava in solido il Policlinico Madonna della Consolazione e i l Primario, a corrispondere la somma complessiva di 431.044 euro.

L’intervento della Cassazione

Il Primario dell’equipe medica si rivolge alla Corte di Cassazione, che rigetta in toto.

Il Medico reitera la doglianza, già formulata in appello, con cui insiste sulla eccezione di intervenuta prescrizione del diritto dei genitori al risarcimento del danno ed in particolare assume l’omesso esame delle dichiarazioni della madre della minore da cui sarebbe emerso che la predetta aveva avuto consapevolezza delle patologie da cui era affetta la figlia, già dai primi mesi del 1991.

Ebbene, al riguardo, la Corte d’appello ha adeguatamente esaminato il fatto e ritenuto che il termine da cui far decorrere la prescrizione quinquennale. Quindi, la consapevolezza dei genitori della possibile riconducibilità al parto delle infermità progressivamente insorte, a partire dal primo anno di vita della minore e riconducibili al comportamento del Primario e del personale sanitario del Policlinico in occasione del parto, fosse da far risalire al 14 maggio 1993 quando la minore era stata ricoverata presso l’Unità di Neuropsichiatria infantile di Messina o, al più, “dalla data (18 marzo 1993) dell’atto interruttivo, ergo il termine quinquennale di prescrizione che al momento della notificazione dell’atto introduttivo del primo grado del giudizio (14 maggio 1996) non era ancora decorso”.

Il principio probabilistico del rapporto di causalità materiale

Censura, inoltre, una errata applicazione del principio probabilistico del rapporto di causalità materiale tra la condotta posta in essere e il danno da ipossia perinatale riscontrato. Nello specifico, sostiene che il mancato rispetto delle raccomandazioni terapeutiche e l’utilizzo della ventosa non fossero idonee a fornire prova del nesso di causalità.

Anche sotto questo profilo la Cassazione respinge in quanto la valutazione delle prove compete al Giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, costituendo attività discrezionale che, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità, oltre che in presenza di vizi della motivazione, soltanto in caso di violazione dei criteri normativi di ermeneutica probatoria.

Avv. Emanuela Foligno

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