La Corte di Cassazione fa luce sull’annullamento delle dimissioni qualora queste vengano estorte con violenza, fornendo dei chiarimenti importanti.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14321/2017, ha affrontato il tema relativo all’annullabilità per violenza o dolo delle dimissioni estorte con la violenza a un lavoratore.

Secondo quanto stabilito dai giudici, ai fini dell’annullamento delle dimissioni per violenza, il lavoratore deve dimostrare di essersi licenziato a seguito della prospettazione di un male ingiusto da parte del datore di lavoro.

Ma in quali casi le dimissioni estorte con la violenza possono essere considerate tali?

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Ancona aveva confermato la sentenza di primo grado, con cui il Tribunale della stessa città aveva rigettato la domanda di “annullamento per violenza o dolo” delle dimissioni rassegnate da un lavoratore.

Questi era dipendente di un negozio di abbigliamento.

Il dipendente aveva agito in giudizio per ottenere l’annullamento delle dimissioni estorte con la violenza dal datore di lavoro, a suo avviso.

Il datore di lavoro, dopo l’applicazione di due sanzioni disciplinari, l’aveva infatti minacciato di licenziamento se non si fosse dimesso immediatamente, accettando lo scioglimento del rapporto a fronte del pagamento di un incentivo di Euro 10.000,00.

I giudici di primo e secondo grado, però, non avevano dato ragione al lavoratore, osservando che questi non aveva contestato gli inadempimenti che avevano giustificato le sanzioni disciplinari. Pertanto questi dovevano ritenersi tali da giustificare il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.).

Non solo. Per i giudici “non era ravvisabile alcuna violenza morale” da parte del datore di lavoro, il quale non aveva in alcun modo “estorto” il consenso del lavoratore a rassegnare le dimissioni.

Il lavoratore si è quindi rivolto in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Tuttavia, nemmeno la Cassazione gli ha dato ragione, ritenendo il suo ricorso infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione. Ciò in quanto aveva ritenuto che gli inadempimenti, non contestati dal lavoratore, fossero tali da non consentire il proseguimento del rapporto di lavoro.

Secondo la Corte, l’annullamento delle dimissioni del lavoratore presuppone che le stesse siano state rassegnate a seguito della minaccia di un “male ingiusto di per sé”. Questo poiché non è sufficiente la semplice minaccia di far valere un diritto.

Nel caso in esame, poiché il datore di lavoro non aveva minacciato alcun “male ingiusto” al lavoratore che non si fosse licenziato e poiché il lavoratore stesso non aveva contestato gli inadempimenti che erano stati posti alla base delle precedenti sanzioni disciplinari, le dimissioni erano perfettamente valide.

Pertanto, le dimissioni estorte con la violenza non potevano essere annullate. Ciò considerato, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore. Quindi, è stata confermata integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello.

Il ricorrente è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali.

 

 

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