La ricorrente è affetta da spondiloartrosi C/D/L con ernie discali multiple, già operata di ernia discale C4/C5 e C5/C6, di origine professionale in rapporto alla esposizione lavorativa (Tribunale di Perugia, Sez. Lavoro, sentenza n. 38/2021 del 16 febbraio 2021)

La lavoratrice cita a giudizio l’Inail onde ottenere l’indennizzo in relazione al danno alla salute derivante da malattia professionale costituita da “ernie discali multiple del tratto C-L-S- con disturbi trofici-sensitivi persistenti”.

Nello specifico, la lavoratrice contesta il provvedimento con cui l’Inail rigettava l’istanza amministrativa per insussistenza del nesso di causa tra la malattia denunciata e l’attività lavorativa svolta.

Deduce di avere iniziato a lavorare nel 1977 come apprendista maglierista e, che, a partire dal 10.9.2003, ha espletato, in qualità di socia-lavoratrice, le mansioni di cuoca presso alcuni istituti scolastici e che, i compiti di preparazione e somministrazione dei pasti agli studenti nonché di lavaggio delle stoviglie, l’hanno costretta all’effettuazione di movimentazione di carichi (pentoloni e contenitori di cibi di grandi dimensioni, vassoi portavivande etc.) di notevoli dimensioni che, unitamente ai continui sbalzi di temperatura tipici dei compiti descritti, sono responsabili dell’insorgenza della patologia denunciata.

La causa viene istruita mediante l’acquisizione della documentazione inerente ai rapporti lavorativi della ricorrente dal 2003 in avanti, prova testimoniale e CTU Medico-Legale.

Preliminarmente, il Tribunale disattende l’eccezione di prescrizione del diritto vantato.

L’art. 112, primo comma, del DPR n. 1124/1965 prevede che “L’azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale”.

E’ pacifico che, in tema di malattia professionale, il principio generale “contra non valentem agere non currit praescriptio” si applica individuando il dies a quo per il decorso della prescrizione nel momento in cui l’assicurato ha piena consapevolezza non solo di essere affetto da una certa malattia, ma anche dell’origine professionale della stessa e del fatto che da tale stato gli deriva un pregiudizio idoneo a superare la soglia per accedere alle prestazioni”.

Oltretutto, la Suprema Corte ha precisato che “La manifestazione della malattia professionale, rilevante ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui al DPR n. 1124 del 1965, può ritenersi verificata quando sussiste l’oggettiva possibilità che l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità e indennizzabilità, siano conoscibili dal soggetto interessato; tale conoscibilità, che è cosa diversa dalla conoscenza, altro non è che la possibilità che un determinato elemento sia riconoscibile sulla base delle conoscenze scientifiche del momento”.

Il CTU ha affermato “…(..)….. che se la malattia era nota alla ricorrente sin dal 2009, l’ipotetica origine professionale della suddetta, per quanto documentato in atti, così come l’esistenza di una sua gravità tale da farla considerare indennizzabile ai fini Inail, risulta essere stata conoscibile dalla ricorrente alla data del 31/07/2015 , data della compilazione del certificato medico rilasciato dal Patronato INAS …”.

Ciò precisato, il Tribunale ritiene fondata la domanda della lavoratrice.

Dalla documentazione presente nel fascicolo (estratto contributivo, attestati provenienti dal Centro per l’Impiego) e dalle deposizioni testimoniali, è emersa la conferma che la lavoratrice ha espletato presso vari istituti scolastici le mansioni di addetta alla cucina ed ausilio nell’attività di vigilanza all’ingresso dei bambini e che si è conseguentemente trovata a dovere effettuare attività che implicavano una movimentazione manuale di carichi.

Non vi sono – specifica il Tribunale -, elementi che consentano di stabilire in maniera precisa le tempistiche di adibizione della lavoratrice a tali compiti, ma il principio di equivalenza causale che governa l’assicurazione obbligatoria in materia di malattie professionali, rende più che sufficienti gli elementi acquisiti.

Il CTU ha evidenziato che “… Sulla scorta degli elementi anamnestici, clinici e strumentali, si può affermare che la ricorrente è affetta da “Spondiloartrosi C/D/L con ernie discali multiple in soggetto già operata di ernia discale C4/C5 e C5/C6 … Il caso in esame riguarda una lavoratrice che ha svolto mansioni di cuoca per un periodo complessivo di circa 10 anni. In tale mansione aveva l’incarico di effettuare operazioni che avevano la caratteristica della MMC (sollevare grossi contenitori del cibo preparato per tutti i bambini della scuola materna – relativamente ai pasti preparati in sede, scarico dai furgoni dei pasti già preparati e trasportati in grossi contenitori, distribuzione dei pasti ai bambini, sollevamento e deposizione dei cestelli contenenti le stoviglie, movimentazione dei contenitori degli alimenti e dei prodotti necessari alla confezione dei pasti. In tale attività non veniva utilizzato alcun ausilio meccanico). Si tratta, evidentemente, di una attività lavorativa in grado di condizionare in modo sfavorevole la comparsa di una patologia degenerativa della colonna vertebrale o la progressione di una preesistente condizione patologica della colonna vertebrale. In rapporto a quanto sopra esaminato, si può affermare che: – la patologia denunciata dalla ricorrente sussiste effettivamente; – che la stessa può essere ritenuta di origine professionale, tenendo conto del principio di equivalenza causale, in rapporto alla esposizione lavorativa; – il danno biologico derivato, ai sensi del D. Lgs 38/2000, deve essere quantificato nella misura del 12% (dodici %) – voce n. 193 in relazione al modesto quadro clinico ed alla assenza di disturbi trofico sensitivi, a fronte di un interessamento artrosico diffuso a tutto il rachide ed alla presenza di discopatie ed ernie discali dorsali e lombari. A decorrere dalla domanda amministrativa, in quanto la documentazione sanitaria in atti dimostra la completezza del quadro patologico denunciato già a quella data”.

Il Tribunale condivide appieno le conclusioni del CTU e dichiara accertata la natura professionale della malattia nei limiti della percentuale del 12%, cui consegue la relativa corresponsione dell’indennizzo.

In conclusione, il Tribunale di Perugia dichiara che la lavoratrice presenta un danno biologico permanente da malattia professionale del 12% e condanna l’Inail a corrispondere il relativo indennizzo, oltre interessi e rivalutazione.

L’Inail viene, inoltre, condannata al pagamento delle spese di giudizio e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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