Errore giudiziario e responsabilità civile dei Magistrati

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Altalenante vicenda processuale, inerente la dichiarazione di fallimento di una società, dove si discute di responsabilità civile dei Magistrati (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 13 giugno 2025, n. 15824).

La responsabilità civile dei Magistrati

Il Tribunale di Bologna (sent. del 12.6.2017) respinge la domanda proposta per l’accertamento della responsabilità civile dei Magistrati del Tribunale e della Corte d’appello di Trieste ai sensi della Legge n. 117/1988, per aver dichiarato nell’anno 2001 il fallimento di una S.a.S. e del socio accomandatario, con sentenza non revocata, nonostante opposizione.

Il Tribunale non ha ritenuto esserci colpa grave dei Giudici di primo grado, che avevano dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione per mancata produzione della sentenza dichiarativa del fallimento, benché sul punto la decisione fosse stata riformata nel grado successivo.

Invece è stata accertata come sussistente la responsabilità per colpa grave dei Giudici di secondo grado, per non aver rilevato il vizio di notifica della sentenza dichiarativa del fallimento, con conseguente pronuncia di inammissibilità dell’opposizione per tardività ex art. 18 l.fall. (decisione poi cassata dalla S.C., sicché, nel giudizio di rinvio, il fallimento venne infine revocato). Tuttavia, il Tribunale rigetta la domanda del socio accomandatario non ritenendo sussistente il nesso di causalità tra l’errore giudiziario e i danni denunciati.

La Corte d’appello di Bologna rigetta l’appello con sentenza del 6.7.2023. In particolare, ritiene corretto il ragionamento del primo Giudice, sia con riguardo al giudizio prognostico sull’esito del procedimento di reclamo ex art. 18 l.fall., ove si fosse delibato il merito, sia sulla probabilità che, comunque, il fallimento sarebbe stato nuovamente dichiarato, in ogni ipotesi.

Intervento di rigetto della Corte di Cassazione

Il socio accomandatario lamenta il mancato riconoscimento della responsabilità grave del Tribunale di Trieste relativamente alla pronunciata sentenza n. 362/03, dd. 06.03.2023, depositata il 20.03.2003, e che il collegio giudicante del Tribunale di Trieste era composto in modo identico, sia con riguardo alla fase prefallimentare, sia a quella di opposizione alla dichiarazione di fallimento.

La Cassazione ritiene le lamentele del tutto inammissibili. Il ricorso presentato difetta della indicazione dei fatti di giudizio tanto ciò vero che per la ricostruzione narrativa della vicenda, è stata utilizzata la sentenza impugnata.

Ciò rende praticamente incomprensibili alla S.C. le censure avanzate contro la decisione d’appello.

Il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa

Viene ricordato al riguardo che “il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti.
Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata”.

Il mancato rispetto dei superiori canoni rende dunque il ricorso inammissibile.

Ad ogni modo, laddove il ricorrente sostiene che la riassunzione dopo la rimessione al primo Giudice sarebbe stata solo eventuale e non certa, si discorre di un assunto che non solo non evidenzia alcuna violazione o falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., ma, soprattutto sollecita, ai fini della pretesa maggiore probabilità della non riassunzione, una valutazione della quaestio facti preclusa alla Cassazione.

Avv. Emanuela Foligno

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