Confermato il risarcimento in favore di un lavoratore morto di carcinoma polmonare contratto a causa dell’esposizione ad amianto sul luogo di lavoro

Con l’ordinanza n. 558/221 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una società per azioni contro la decisione della Corte di merito di accogliere la richiesta di risarcimento del danno biologico derivante dall’esposizione ad amianto ed ad altre sostanze morbigene sul luogo di lavoro avanzata dagli eredi di un proprio dipendente.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte l’azienda datrice eccepiva la tardività – per superamento del termine di prescrizione – della proposizione della domanda giudiziale di risarcimento del danno, posto che le patologie che avevano provocato il decesso dell’uomo erano state già “accertate e diagnosticate” antecedentemente al termine di decorrenza della prescrizione, come risultava dalla denuncia di malattia professionale depositata.

La Cassazione, nel ritenere infondato il motivo di doglianza, ha invece considerato priva di vizi la decisione del Collegio distrettuale in base alla quale non poteva ritenersi decorso il termine di prescrizione per l’azione, iure hereditatis, di risarcimento del danno posto che il carcinoma polmonare che aveva dato causa al decesso e che aveva rappresentato una nuova patologia (e non un mero aggravamento delle malattie, broncopneumopatia e rinofaringite, già contratte), era stato scoperto dopo specifici accertamenti, solamente 3 anni prima della proposizione dell’azione giudiziaria.

Respinto anche il motivo del ricorso con cui la ricorrente eccepiva fosse stato ampiamente provato che la società aveva sempre svolto controlli e tenuto monitorata la concentrazione di polveri di amianto all’interno dell’ambiente e che, comunque, il dipendente non aveva mai svolto mansioni a diretto contatto con acide polveri, come emerso dalle deposizioni testimoniali e come accertato nella relazione medico-legale del consulente tecnico d’ufficio, che aveva precisato come il de cuius, nell’espletamento delle mansioni di “strappatore” presso l’impianto di elettrolisi era stato esposto a livelli aereo dispersi di acido solforico del tutto contenuti e scevri da qualsiasi possibilità di cagionare l’insorgenza di una neoplasia polmonare, essendo, invece, un forte fumatore ed avendo tale circostanza sufficiente valenza causale/concausale nel determinismo della patologia.

Anche in questo caso è stata condiviso il ragionamento del Giudice di secondo grado secondo cui l’esposizione qualificata all’amianto del de cuius era stata appurata a mezzo delle testimonianze acquisite e della documentazione esibita, nonché a seguito di pronuncia, passata in giudicato, concernente il riconoscimento dei benefici pensionistici di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, a fronte della quale non erano condivisibili le conclusioni della perizia del consulente tecnico d’ufficio in ordine alla mancata diretta esposizione del lavoratore all’amianto.

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