L’installazione di impianti audiovisivi da parte del datore di lavoro è illegittima in assenza di una codeterminazione con le rappresentanze sindacali. Non basta il consenso dei dipendenti in ragione del loro essere soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38882/2018, si è pronunciata sul ricorso presentato dal titolare di una ditta esercente attività di bar-gelateria. Questa era stata condannata in primo grado a un’ammenda di 800 euro per aver violato le disposizioni dello Statuto dei lavoratori relative agli impianti audiovisivi.

Nello specifico, aveva installato 4 telecamere in vari punti dello stabilimento, connesse a uno schermo LCD e a un apparato informatico. In tal modo aveva il controllo visivo, anche a distanza, dei luoghi di lavoro in cui i dipendenti svolgevano le mansioni loro attribuite.

La Suprema Corte ha ritenuto di confermare la condanna chiarendo che il reato risulta integrato anche laddove la telecamere siano installate per motivi di sicurezza. Inoltre l’illecito non è escluso nemmeno dall’autorizzazione fornita dai lavoratori interessati.

La ripresa può essere autorizzata solamente dall’accordo con i sindacati o, in seconda battuta, dalla direzione territoriale del lavoro.

La ratio di tale procedura deriva dalla considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato. La diseguaglianza di fatto, e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa risulta inderogabile.

Gli Ermellini chiariscono, infatti, che basterebbe al datore di lavoro far firmare ai lavoratori, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato perché ritenuto condizionante l’assunzione.

In conclusione, il consenso di un lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, prestato in qualsiasi forma, non vale a scriminare la condotta del datore. Da qui il rigetto dell’impugnazione proposta dall’esercente in quanto infondato.

 

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