In manovra di retromarcia urta il pedone provocandone il decesso: la Suprema Corte spiega la valutazione della condotta della vittima (Cassazione penale, sez. IV,  28/03/2022, n.11039).

In manovra di retromarcia provoca il ferimento mortale del pedone. La Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del G.U.P., ha ridotto la pena inflitta all’automobilista in quella di mesi quattro di reclusione, sostituiti con mesi di otto di libertà controllata, altresì condannandola al pagamento delle spese delle parti civili costituite, per il resto confermando la pronuncia di primo grado.

L’automobilista è stata ritenuta responsabile di omicidio colposo per avere con negligenza ed imprudenza, in manovra di retromarcia,  al fine di consentire una manovra ad un autobus che stava procedendo in senso opposto, urtato la donna che cadeva a terra e poco dopo decedeva.

Nel presente giudizio era stata pronunciata una prima sentenza con cui il G.I.P. del Tribunale di Genova, all’esito all’udienza preliminare, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata perché il fatto non sussiste, non avendo ravvisato la ricorrenza di un nesso causale tra le lesioni subite dal pedone e il successivo evento letale.

Proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, la Corte in data 20 maggio 2016 aveva disposto l’annullamento con rinvio dell’impugnato provvedimento, sul presupposto della necessità di procedere a ulteriori implementazioni dibattimentali, in particolar modo assumendo che le conclusioni rese dal perito, circa l’insussistenza di un diretto rapporto eziologico tra l’ictus cerebrale e il letale infarto, necessitassero del supporto di altri e differenti medici specialistici, ed in particolare di un cardiologo e di un esperto in neuro-traumatologia.

Effettuata la nuova perizia ad opera di un medico legale e di un ausiliario cardiologo, il G.U.P. del Tribunale di Genova aveva, infine, riconosciuto la colpevolezza dell’automobilista per avere investito la donna in manovra di retromarcia, poi confermata dalla Corte territoriale.

E’ stato, accertato eziologicamente ascrivibile all’imputata anche il successiva evento mortale del pedone, in quanto la necessità della vittima di interrompere l’assunzione di un farmaco anticoagulante (coumadin), a seguito della riscontrata presenza di un’emorragia cerebrale in accrescimento derivante dal trauma, avesse avuto efficacia causale, creando una situazione favorevole alla realizzazione di eventi trombotici fatali, nella verificazione dell’ischemia cerebrale e del successivo letale infarto miocardico.

L’imputata ricorre in Cassazione deducendo eccezionalità del comportamento avuto dalla vittima e contraddittorietà della sentenza.

La donna sostiene che nella condotta di guida non vi sarebbe alcun profilo colposo, considerato che la stessa si sarebbe limitata a inserire la retromarcia, con il relativo accendersi delle luci, procedendo assai lentamente. Di contro, il pedone non avrebbe rispettato, sotto vari profili, il disposto dell’art. 190 C.d.S., non avendo prestato la necessaria attenzione per evitare situazioni di pericolo per sé o per altri, attraversando la carreggiata obliquamente, con intersezione di più vie in diagonale.

Il ricorso non è fondato.

E’ priva di fondamento la doglianza con cui è stata eccepita la riferibilità eziologica, in via esclusiva, dell’incidente occorso all’eccezionalità della condotta tenuta dal pedone.

In proposito assume rilievo il principio per cui, in caso di omicidio colposo, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile.

Ed ancora, viene osservato, stante la peculiarità della condotta ascritta all’imputata, che la norma dell’art. 154 C.d.S., disciplinante le manovre di retromarcia, dispone che gli utenti della strada che intendano eseguire brevi tratti in manovra di retromarcia devono “assicurarsi di poter effettuare tale manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi”.

Ebbene, l’imputata in manovra di retromarcia, con un fuoristrada che per le sue caratteristiche (presenza di ruota di scorta occultante parte della vista posteriore) non consentiva di avere una visuale adeguata, dovesse essere effettuata, proprio per la difficoltà determinata dalla presenza di un autobus procedente in senso inverso, con particolare attenzione, soprattutto considerando che la presenza di pedoni sul percorso stradale da compiersi in retromarcia non costituisce un’eventualità eccezionale e imprevedibile.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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