Parliamo dell’ inadempimento qualificato, che è una fattispecie dell’onere della prova: una delle prove che devono fornire le parti in causa

Prendo spunto dall’ordinanza che vi allego e il cui relatore ringrazio in quanto mi continua a fornire ottimi spunti “editoriali”.
Parliamo di onere della prova e di una sua particolare fattispecie, l’inadempimento qualificato che è una delle prove che devono fornire le parti in causa.
Inizio citandovi la regola che la giurisprudenza di legittimità detta da circa 20 anni:
“A tal fine, giova rammentare che nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica, l’attore danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato ovvero che esso non sia stato causa del danno, in quanto ascrivibile a causa non imputabile al debitore, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. (cfr., tra le altre, Cass. , sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577 e Cass., 30 settembre 2014, n. 20547)”.
Tale citazione serve per entrare a gamba tesa nell’ordinanza che umilmente vorrei commentare, premettendo però una considerazione personale: ma è possibile che un paziente vittima di un evento non atteso e mai prospettato dai medici che lo hanno tenuto in cura debba cercare di difendersi facendo delle accuse tecniche o, meglio, qualificate?
Se partiamo dal concetto che l’ inadempimento qualificato deve essere tale solo in astratto, potrebbe sorgere la domanda seguente: che significa in astratto?
Se ricordiamo quanto pubblicato sulle pagine di questo quotidiano il 18 maggio 2016 (http://www.responsabilecivile.it/vicinanza-della-prova-concetto-da-applicare-o-da-mettere-in-discussione/) dovremmo risalire a quanto affermato dallo stimato Consigliere Marco Rossetti, ossia:
Osservare l’onere di allegazione vuol dire che l’attore deve dire quale è stato l’errore commesso dal medico senza tecnicismi, senza particolari approfondimenti teorici ma deve spiegare se il medico ha sbagliato nel porre la diagnosi, nell’eseguire l’intervento, nell’assistere il paziente nel decorso post operatorio e via dicendo”.
Non ho mai scritto una email al Consigliere Rossetti chiedendo la spiegazione di quanto affermato. Ad una prima lettura, se l’accusa deve essere atecnica, basterà al paziente dedurre aspecificatamente l’errore affermando “… ho subito una colecistectomia, mi hanno perforato l’intestino e mi hanno dovuto rioperare facendomi una resezione ileale segmentaria, dunque hanno sbagliato!”
Se questo rappresenta un inadempimento qualificato “astratto” adeguato a soddisfare l’onere della prova a carico del paziente, allora ci si può stare, in quanto un peggioramento dello stato di salute spesso è facilmente ricollegabile intuitivamente alle cause che l’hanno provocato.
In realtà, in astratto, se è vero che per curare una patologia è solitamente necessario un solo intervento chirurgico, quando ne sono stati necessari due, allora il primo è stato eseguito male!
In verità, gli errori non sempre sono facilmente riferibili a una specifica terapia o a una specifica gestione della patologia da cui è affetto il paziente.
Comunque sembrerebbe che si possa desumere che il paziente deduca l’errore medico dal fatto di non essere migliorato e di non aver raggiunto l’obiettivo prospettato dal medico nel colloquio pre-operatorio o al momento della diagnosi: attese inferiori alle aspettative.
IN VERITA’ QUESTO SAREBBE UN PESO SOPPORTABILE DAL PAZIENTE!
Analizziamo invece l’ordinanza sulla quale si riflette oggi.
Il giudice relatore nel decidere se ammettere la CTU ha analizzato se la domanda attorea avesse i requisiti che soddisfacessero l’onere minimale imposto al presunto danneggiato, i quali requisiti comunque avrebbero limitato l’indagine sui quali il giudicante compie accertamenti e decide la causa.
E’ qui la distorsione le cui conseguenze “cozzerebbero” anche con la volontà del legislatore il cui intento è ridurre il contenzioso e la durata dei processi (ma su questo ci torniamo fra qualche “riga”).
Entriamo nel merito.
Il caso proposto verte su di un intervento sul rachide cervicale non perfettamente riuscito in quanto foriero di lesioni midollari.
Come potete ben leggere nell’ordinanza e riflettendo su quanto sopra specificato, il giudicante individua come inadempimento qualificato il mancato uso dei PESS (potenziali evocati somato sensoriali) intraoperatori che non avrebbero permesso il riconoscimento del danno midollare riscontrato nel post operatorio. Dunque effettua specifica richiesta ai propri consulenti di affermare se la censura fosse fondata.
Adesso sorge spontanea una domanda!
Se il danno accertato e non atteso è stato documentato e l’accusa specificata non è la causa/concausa efficiente del danno cosa succede agli attori? E’ semplice, verrà rigettata la loro domanda con la relativa soccombenza alle spese.
Dov’è il vulnus di tale procedura?
Che l’attore ha dimostrato il contratto, il maggior danno, il nesso causale tra atto medico e danno lamentato e ha sbagliato l’accusa specifica… perdendo la causa senza che i colpevoli dell’errore abbiano faticato più di tanto, anzi guadagnando i compensi per l’attività di difesa svolta, mentre l’attore rimarrà… “cornuto e mazziato”!
Pensate un po’, il rapporto medico-struttura e paziente è di natura contrattuale, il paziente si rivolge a una struttura per farsi curare ciò che è curabile di routine, subisce un danno non atteso, chiede spiegazioni e un equo risarcimento per la salute persa e riceve una bastonata in viso.
Allora se l’inadempimento qualificato in astratto idoneo a provocare il danno lamentato, secondo questo giudice, va inteso come lo intende lui, allora diventa una guerra di scopo, dove l’attore dovrà riproporre una domanda indicando un nuovo inadempimento (stavolta quello rilevato dai ctu o da altro ctp più bravo): così spende altri soldi e potrebbe morire in quanto il tempo passa e i Tribunali si “gonfiano” sempre più di nuovi giudizi.
Se mai il contenzioso medicolegale dovesse tutto trasformarsi così allora cosa fare?
Seguire i consigli del Consigliere Rossetti (sempre se si è interpretato bene il Suo dire), ovvero dimostrare senza tecnicismi il potenziale errore medico relegando l’inadempimento alle sole e generiche fasi del rapporto medico-struttura e paziente (diagnosi, terapia, post terapia), attendendo serenamente che la qualifica specifica la faccia il ctu in corso di causa, oppure, dopo l’entrata in vigore della legge Gelli, tentare una conciliazione obbligatoria (696bis) e attendere che in corso di conciliazione si specifichi la eventuale colpa della struttura o del medico.
Altrimenti, certo, sarebbe meglio non incontrare nella propria via un giudice che decide le cose con tali criteri che tutelano solamente la parte già forte del rapporto medico-paziente.
 

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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2 Commenti

  1. BuonaSera Signor Carmelo Galipò, è la prima volta che le scrivo per domandare una precisazione alla sua dissertazione. Premetto ch’io la Giurisprudenza l’ho studiata principalmente alle superiori e per lavoro/studio ho dovuto informarmi sul Diritto Privato, Diritto Pubblico etc. ma mai avrò le competenze d’un giurista; premesso questo mi perdoni se (molto probabilmente) le rivolgerò una domanda per Lor Signori Giuristi scontata, quasi blasfema.
    Avevo letto (tempo fa) che la Giurisprudenza fa una distinzione tra “Azienda Ospedaliera Pubblica” ed “Azienda Ospedaliera Privata” riferendosi specificatamente allo “Onere della Prova”. Il Cittadino che si rivolge, detto volgarmente, alla Pubblica e malauguratamente si trova a contestare qualcosa <> . Mentre, se il malauguratissimo Cittadino dovesse trovarsi a contestare qualcosa, sempre in volgare, al privato <> .
    Lessi questo su di un articolo di giornale: il DoctorNews se lo conosce ma non rammento il numero della edizione del giornale su cui ho letto di questa … questo scivolone a, mio parere, del legislatore.
    La Precisazione che le chiedo è se questo “fatto” che lei racconta è riferito ad un caso di “Azienda Ospedaliera Pubblica” poiché il suo ragionamento – a dir poco impeccabile – si trova ad essere surclassato da una legge che annichilisce ogni possibile forma di contestazione e ragionamento in quanto, molto semplicemente, il cittadino deve fornire sempre e comunque la prova ed in C*** tutto il buon senso e l’Etica.
    La Ringrazio per la Cortese Attenzione,
    Riccardo Fantini
    P.S. : ancora prego la sua bontà d’interpretare le mie parole di -falso giurista- in modo magnanimo.
    Ancora mille grazie per il suo impegno che mi regala sempre qualcosa di nuovo leggendo i suoi articoli.

    • Carissimo Riccardo innanzitutto la ringrazio del Suo interesse per la pubblicazione, in secondo luogo le rispondo al quesito: si trattava di una struttura pubblica. Penso di aver percepito bene le sue perplessità e Le dico che la responsabilità, ad oggi, è contrattuale con strutture sia pubbliche che private e con i medici (per quest’ultimi no solo presso il tribunale di Milano). Comunque se passerà la Legge Gelli sulla responsabilità sanitaria il rapporto tra ogni tipologia di struttura (quindi pubblica e privata) e paziente sarà di natura contrattuale così tra medici liberi professionisti e paziente. La natura del rapporto sarà extracontrattuale tra paziente e medico dipendente o comunque operante in una struttura sanitaria qualsiasi.
      Un caro saluto
      CG

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