Confermata la condanna per indebito percepimento del trattamento pensionistico di invalidità civile di cieca assoluta erogato dall’Inps (Cassazione Penale, sez. VI, sentenza n. 1887/2021 del 18 gennaio 2021)

La Corte di Appello di Brescia confermava la decisione del GUP del Tribunale di Bergamo del 23/11/2016 che ha ritenuto responsabile l’imputata del delitto di cui all’art. 316 ter c.p. in relazione all’indebito percepimento del trattamento pensionistico di invalidità di cieca assoluta, conseguito dall’INPS producendo documentazione attestante parzialmente tale disabilità, simulando o accentuando le deficienze alla funzione visiva effettivamente esistenti nonché omettendo di depositare ulteriore documentazione sanitaria in suo possesso ostativa al relativo riconoscimento.

La Corte territoriale riduceva a 10 mesi di reclusione la pena di un anno inflitta dal primo Giudice.

L’imputata ricorre in cassazione denunciando manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla confermata responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 316 ter c.p..

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale ha errato nell’interpretare il verbale della Commissione Medica del 17/10/2008, il referto di misurazione della campimetria del 19/05/2010 e il verbale di verifica della permanenza della condizione di cecità assoluta del 22/09/2011.

Deduce, inoltre, una incongruenza tra la motivazione della sentenza e il dispositivo che riconosceva una riduzione di pena.

Gli Ermellini dichiarano il ricorso inammissibile perché basato su motivi non sorretti da specifico interesse.

La ricorrente tenta di conseguire in sede di legittimità una diversa valutazione del compendio probatorio, basato in larga parte su elementi di natura documentale, costituiti tanto da quelli prodotti a sostegno della richiesta di riconoscimento del trattamento pensionistico quanto dagli altri in suo possesso ma non prodotti in sede di revisione della decisione di conferma della diagnosi di cecità assoluta.

Infatti, la donna invoca una differente interpretazione sia del verbale della Commissione Medica del 17/10/2008, sia di quello di verifica della permanenza della condizione invalidante del 22/09/2011.

La pronuncia di merito non può, come noto, essere annullata sulla base di prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.

Riguardo la lamentata incongruenza della sentenza impugnata con il dispositivo, i Supremi Giudici osservano che, pur esistente discrasia tra motivazione con cui la Corte territoriale ha reputato congrua la pena irrogata dal primo Giudice e il dispositivo con cui la pena di un anno inflitta viene ridotta alla misura finale di dieci mesi di reclusione, deve essere risolta con la prevalenza del dispositivo poichè formato e pubblicato in udienza prima della redazione della motivazione.

In conclusione, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di giudizio della parte civile INPS, che vengono liquidati in complessivi euro 3.015,00 oltre spese generali nella misura del 15%.

Avv. Emanuela Foligno

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Allargamento del canale L3-L5 e stabilizzazione con sistema ibrido L2-L5

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui