La documentazione scritta non rappresenta l’unico mezzo per dar prova della comunicazione al paziente di un’informazione completa, aggiornata e a lui comprensibile circa l’intervento cui si sottoporrà, ben potendo procedersi ad informare il paziente con indicazioni a voce purché corrispondenti ai requisiti di legge

La vicenda

Il ricorrente aveva agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di due interventi che avevano interessato l’apparato dentale e le gengive.

Il medico che aveva eseguito l’operazione gli era stato suggerito da un suo amico, anch’egli odontoiatra e, quindi, su suo consiglio, nel giugno 2011 si era recato da costui per impiantare un dente mancante da molti anni.

Dopo aver eseguito un’ortopanormaica, entrambi i sanitari avevano deciso di sottoporlo ad un intervento, presumibilmente alle gengive, senza renderlo edotto sul tipo di operazione che stavano effettuando e senza spiegargli i rischi e le eventuali utilità dell’intervento, ossia la possibilità di andare incontro a fortissimi e persistenti dolori nella zona interessata.

Il secondo intervento

Ed infatti, dal giorno dell’intervento l’uomo aveva iniziato ad avvertire fortissimi dolori all’arco gengivale superiore e dopo alcuni mesi i denti incisivi superiori avevano iniziato a muoversi. Seguiva poi, un altro intervento che, tuttavia, non riuscì a ridurre la sensazione di dolore.

Il Tribunale di Roma (Tredicesima Sezione, sentenza n. 1856/2020) investito della domanda, ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta di risarcimento per la violazione del protocollo di acquisizione del consenso informato, “potendo viepiù ritenersi che i rapporti tra l’attore e l’odontoiatra al tempo dei fatti e l’entità routinaria delle attività di cure, non necessitassero della necessaria documentazione del consenso acquisito in forma scritta, non essendosi conseguite dalle pratiche di cure e interventistiche alcuna conseguenza imprevedibile o inattesa”.

Il consenso informato

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che se è vero che l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente è autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto – dall’altra parte non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno.

Inoltre, tra le ipotesi di violazione delle disposizioni afferenti il consenso informato si è distinto il caso dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato un danno alla salute: in questo caso, come anche nell’ipotesi in cui il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento, a quest’ultimo non sarà riconosciuto alcun risarcimento; viceversa, se il paziente allega che dall’omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli sono, comunque, derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, sarà risarcibile il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione (Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28985).

L’esame degli elementi probatori

Ebbene, nel caso in esame, anche a voler considerare come carenti e/o insufficienti (ma tali non erano state) le informazioni somministrate al paziente dai sanitari convenuti, il consulente tecnico incaricato d’ufficio aveva comunque escluso la sussistenza di un danno biologico o l’inesatta individuazione del percorso ortodontico somministrato all’attore.

Il trattamento scelto era l’unico praticabile, nel caso concreto non vi erano trattamenti alternativi praticabili” e in ogni caso, “il trattamento era stato eseguito in conformità alle metodiche medico chirurgiche stabilite in base della scienza medica” e “non erano residuati postumi diversi da quelli normalmente riconducibile al trattamento correttamente praticato“.

In questa cornice probatoria, non poteva individuarsi quella condizione di danno, cagionata dal comportamento dei sanitari, che la giurisprudenza pone a fondamento della pretesa risarcitoria in relazione alla violazione del principio di autodeterminazione, difettando la prova di una menomazione delle condizioni del paziente rilevante ai fini risarcitori.

La decisione

In altre parole, non vi era prova del fatto che le conseguenze dannose lamentate dal paziente potessero, in qualche modo, essere riconducibili ad un’erronea esecuzione dei trattamenti sanitari in discussione e stimarsi come conseguenze imprevedibili e non volute della condizione di parodontopatia di cui indiscutibilmente l’attore soffriva anche ragione dei suoi comportamenti inappropriati (scarsa igiene orale e fumatore incallito).

In definitiva il tribunale capitolino ha rigettato la domanda attorea sull’asserita violazione del consenso informato, ricordando che “ovviamente la documentazione scritta non rappresenta l’unico mezzo per dar prova della comunicazione al paziente di un’informazione completa, aggiornata ed a lui comprensibile circa le proprie condizioni di salute, la diagnosi, la prognosi, i benefici e i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati dal medico, le possibili alternative ai trattamenti proposti ed infine circa le conseguenze di un eventuale suo rifiuto delle cure, ben potendo – in relazione ai connotati della vicenda – procedersi a informare il paziente con indicazioni a voce purché corrispondenti ai requisiti sopra menzionati”.

La redazione giuridica

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