Intervento odontoiatrico per installazione di impianto non corretta e omesso consenso informato (Cassazione civile, sez. VI,  dep. 15/07/2022, n.22394).

Intervento odontoiatrico per installazione di impianto non correttamente eseguito induce il paziente a chiedere il risarcimento del danno alla salute e la restituzione degli importi corrisposti all’Odontoiatra.

Quest’ultimo veniva citato dinanzi il Tribunale di Nuoro dove veniva chiesta la declaratoria di risoluzione del contratto d’opera professionale ed il risarcimento del danno a titolo di responsabilità medica in relazione ad intervento odontoiatrico di installazione di impianto nell’arcata dentaria.

Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il Medico al pagamento della complessiva somma di Euro 11.967,06 oltre interessi, di cui Euro 1.500,00 a titolo di restituzione del corrispettivo pagato, Euro 5.207,06 per il danno alla persona, Euro 2.000,00 per mancanza di consenso informato, Euro 3.260,00 a titolo di danno patrimoniale per le spese mediche e per gli accertamenti tecnici preliminari alla lite successivamente sopportate, oltre Euro 2.500,00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Avverso detta sentenza l’Odontoiatra proponeva appello e la Corte di Cagliari, in parziale accoglimento, lo condannava al pagamento della somma di Euro 8.470,68 oltre interessi e revocava la condanna al pagamento della somma ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, con compensazione delle spese.

Osservava la Corte territoriale, per quanto qui rileva, che non spettava l’importo di Euro 2.000,00 a titolo di mancanza di consenso informato perché l’appellato non aveva provato che, se compiutamente informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, mentre era provato che lo stesso,  dopo l’ablazione degli impianti,  aveva richiesto un nuovo preventivo circa la spesa per riposizionarli, con ciò dimostrando l’intenzione di sottoporsi nuovamente ad un intervento odontoiatrico.

Aggiungeva che il Tribunale aveva liquidato a titolo di danno patrimoniale anche la somma di Euro 1.500,00 pari a quanto necessario per l’installazione del nuovo impianto dentario e che tale liquidazione era avvenuta sulla base di un mero preventivo di spesa, in assenza della prova circa la necessità del nuovo intervento odontoiatrico, stante la già avvenuta avulsione. Infine, sempre secondo la Corte d’Appello,  andava detratta anche la somma di Euro 2.500,00 a titolo di responsabilità aggravata in quanto l’Odontoiatra,  difendendosi in giudizio, aveva esercitato un suo diritto, sicché non era condivisibile la valutazione del Tribunale in termini di pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria e di inconsistenza delle difese.

Il paziente impugna la decisione in Cassazione.

Deduce, con la prima doglianza, che se fosse stato messo al corrente dei rischi, avrebbe evitato il tipo di intervento, optando per una protesi, come successivamente ha fatto.

Con il secondo motivo deduce che l’importo di Euro 1.500,00 non era stato liquidato in relazione al costo di un nuovo impianto, ma a titolo di restituzione del corrispettivo quale effetto della risoluzione del contratto.

Con il terzo motivo osserva che il Tribunale aveva esaustivamente motivato in ordine alla responsabilità aggravata.

Le censure sono tutte inammissibili.

Il primo motivo investe il puro giudizio di fatto in quanto mira a confutare la valutazione della corte territoriale in termini di mancanza di prova del presupposto di fatto del risarcimento da mancanza del consenso informato, e cioè il fatto che il paziente avrebbe evitato l’intervento odontoiatrico ove informato circa i rischi del medesimo. Tale valutazione compiuta dal Giudice di merito non è sindacabile in Cassazione.

Il secondo motivo di ricorso si risolve in una censura eccentrica rispetto alla ratio decidendi, avendo il Giudice di appello riconosciuto non spettante non l’importo liquidato a titolo di restituzione del corrispettivo, ma una parte del danno patrimoniale, complessivamente liquidato in Euro 3.260,00, e cioè quella relativa all’installazione di un nuovo impianto dentario.

L’ultima censura verte esclusivamente sull’affermazione di esaustività della motivazione della sentenza di primo grado. Ad ogni modo, l’accertamento  dei presupposti di fatto della responsabilità aggravata ex art. 96 cpc, è riservato al Giudice del merito e non è sindacabile in sede in Cassazione.

Ricorso integralmente inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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