I rapporti tra causalità della condotta e causalità della colpa per l’errore in materia di responsabilità sanitaria

La causalità della colpa è quel nesso normativo che deve sussistere tra la violazione del dovere oggettivo di diligenza e prudenza o della norma precauzionale specifica e l’evento concretamente verificatosi affinché esso possa essere imputato a colpa del soggetto.

La causalità della condotta, o causalità materiale, esprime la partecipazione oggettiva al fatto illecito, rappresentando il punto di collegamento tra la condotta e l’evento offensivo.

La rilevanza della causalità si desume dalla Carta costituzionale, poiché il principio di personalità della responsabilità penale presuppone la necessità di un nesso eziologico tra la condotta contestata al soggetto agente e l’evento indicato dalla norma incriminatrice.

Il nostro Codice penale considera imprescindibile l’accertamento che la condotta contestata sia stata condizione del verificarsi dell’evento.

Sull’argomento vi è stato un fitto intervento giurisprudenziale allo scopo di delimitare chiaramente la nozione di causalità, soprattutto per quanto riguarda i criteri che il Giudicante è chiamato a seguire per l’accertamento del nesso causale.

Senz’altro la più importante teoria elaborata è quella condizionalistica, o meglio della “condicio sine qua non” secondo cui la nozione di causalità deve essere individuata in ogni antecedente logico necessario per il prodursi dell’evento.

Conseguentemente, è causa dell’evento ogni fattore che rappresenti condizione necessaria per il suo prodursi, non avendo rilevanza al riguardo che nella dinamica causale si aggiungano ulteriori condotte a quella contestata.

Per procedere alla verifica della causa dell’evento si utilizza il giudizio controfattuale, ovverosia eliminare la condotta contestata dalla dinamica causale e verificare se l’evento si sarebbe ugualmente prodotto anche in assenza di questa.

In questa sua formulazione di base, la teoria condizionalistica è stata oggetto di numerose critiche, che hanno evidenziato l’assenza di criteri e regole adeguate da seguire nella conduzione del giudizio controfattuale, al fine di stabilire con un certo grado di certezza che la condotta contestata appartenga ad un insieme di antecedenti dai quali ordinariamente deriva la produzione dell’evento di reato.

Tale aspetto ha dato vita a quattro orientamenti giurisprudenziali.

La Corte di Cassazione ha sostenuto che il giudice deve condurre la verifica causale affidandosi a leggi dotate di validità scientifica, leggi cioè che attestino come da un certo accadimento derivi uno specifico evento in un determinato numero di casi.

Tuttavia, le leggi di tipo statistico introdurrebbero un margine di opinabilità e quindi di discrezionalità nel giudizio controfattuale condotto dal giudice, rendendo pertanto incerta la verifica causale.

In tale contesto irrompe la celeberrima sentenza Franzese del 2002.

Come asserito in tale storica pronunzia a Sezioni Unite, per spiegare il legame causale tra due accadimenti naturali, il giudice deve innanzitutto individuare la legge scientifica di copertura, non potendo elaborare ex novo un legame derivativo tra i fenomeni. Considerato, però, che non tutte le relazioni causa/effetto possono essere spiegate con un grado prossimo o equivalente alla certezza, i giudici di legittimità si sono mostrati sensibili al ricorso a leggi scientifiche di carattere statistico, che spiegano il nesso fenomenico secondo criteri di probabilità.

Al contempo la Cassazione ha evidenziato che percentuali maggiori o minori di verificazione dell’evento non sono decisive poiché il criterio dirimente è quello della probabilità logica, o della credibilità razionale.

Nello specifico, una volta appurato che un dato antecedente cagioni un determinato evento in una percentuale significativa, o meno, di casi, si deve accertare l’eventuale incidenza concreta di fattori causali alternativi, che abbiano spezzato il legame naturalistico tra la condotta e l’evento.

Secondo questa impostazione, può pertanto accadere che, applicando una legge anche quasi universale secondo cui da una determinata condotta derivi un certo evento nella quasi totalità dei casi, si debba escludere il nesso causale tra condotta ed evento se dalle risultanze probatorie e processuali non si fosse in grado di accertare la mancanza di spiegazioni causali alternative.

La citata pronunzia a Sezioni Unite ha indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi se i medesimi criteri possano applicarsi anche alla verifica della c.d. causalità della colpa.

La causalità della colpa trova il suo fondamento nell’art. 43 c.p., secondo cui il delitto è colposo soltanto quando l’evento si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Nell’accertamento della causalità della colpa, in dottrina e giurisprudenza sono stati elaborati due criteri principali che il giudice è tenuto a seguire, uno dei quali soltanto eventuale.

Il primo accertamento necessario consiste nella verifica della concretizzazione del rischio, ovvero nel riscontro che l’evento in concreto verificatosi rientri proprio nel novero di eventi che la regola a contenuto precauzionale mira a prevenire.

Invece, qualora il giudice dovesse accertare che l’evento verificatosi produca una lesione al bene giuridico protetto dalla regola a contenuto precauzionale, lo stesso è tenuto ad un secondo accertamento attraverso l’applicazione del criterio del comportamento alternativo lecito, chiedendosi cioè se l’evento potesse verificarsi ugualmente anche qualora il soggetto avesse rispettato la regola a contenuto cautelare.

Attraverso il criterio del comportamento alternativo lecito, il giudice compie, come già accennato, un giudizio controfattuale avente ad oggetto la sostituzione ideale della condotta tenuta dal soggetto agente in violazione della regola cautelare con la condotta che il medesimo avrebbe dovuto tenere, verificando in tal modo se anche tenendo la condotta rispondente alla regola cautelare si sarebbe verificato l’evento lesivo.

E’ stato chiarito che ciò che differenzia il giudizio controfattuale nella causalità della condotta e il giudizio controfattuale nella causalità della colpa, risiede nella diversa intensità del criterio da seguire nell’accertamento dell’una e dell’altra.

Mentre, con riferimento alla causalità della condotta, il giudice deve verificare elevate probabilità che l’evento non si sarebbe verificato se la condotta non fosse stata tenuta, alla luce delle risultanze processuali che determinino l’esclusione di decorsi causali alternativi, con riferimento alla causalità della colpa è sufficiente che il giudice accerti che, qualora la regola cautelare fosse stata osservata, ci sarebbero state chances circa il non verificarsi dell’evento, in termini di probabilità dunque non così robusti come quelli richiesti per la verifica della causalità della condotta.

La giurisprudenza ha operato una distinzione con riguardo all’intensità di entrambi i giudizi controfattuali, a seconda che si tratti di reati a condotta attiva ovvero di reati omissivi impropri.

La tematica dei rapporti tra causalità della condotta e causalità della colpa, ha avuto notevole impatto nei casi di errori commessi da più Sanitari in momenti distinti, che hanno determinato la produzione dell’evento lesivo.

Sul punto, la giurisprudenza ha elaborato in un primo momento la teoria delle serie causali autonome, secondo cui si deve dare rilevanza esclusivamente a quei fattori causali sopravvenuti alla condotta che avrebbero da soli determinato l’evento lesivo per forza loro propria e senza nessun nesso interdipendenza con la condotta del soggetto agente.

Successivamente, è stata elaborata la teoria della c.d. causalità umana, secondo la quale tra le cause idonee ad interrompere il nesso causale rientrano non solo le cause sopravvenute che di per sé avrebbero determinato l’evento, ma anche quelle che si caratterizzano per un certo tasso di eccezionalità e dunque quelle cause non rientranti nella governabilità e nel dominio del soggetto agente.

Nel tentativo di dare una definitiva risposta alla questione, la Suprema Corte ha elaborato la teoria del rischio eccentrico, analizzando la rilevanza delle cause sopravvenute ex art. 41 comma 2 x.p., nel caso specifico di errori commessi in serie da Sanitari differenti durante il ricovero del paziente.

Dal chè ne è derivato che l’errore del medico intervenuto successivamente, spezza il nesso causale quando innesca un processo morboso completamente diverso da quello già in atto per effetto dell’errore del medico intervenuto precedentemente.

Conclusivamente, deve ritenersi che la causalità materiale e la causalità della colpa, seppure collocate su piani differenti, possono porsi tra loro in un legame di interferenza, derivante essenzialmente dalla natura del giudizio di accertamento posto in capo al Giudicante.

I “punti di contatto” tra i due nessi causali comportano, inoltre, importanti applicazioni in ambito di errore nella responsabilità sanitaria.

Invero, la valorizzazione della causalità della colpa permette di dare risposta alla questione dell’efficacia eziologica esclusiva dell’operato pregiudizievole del secondo Sanitario, mettendo in luce l’incongruenza della teoria del rischio eccentrico, a vantaggio della tesi della eccezionalità della concausa successiva.

Avv. Emanuela Foligno

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