L’assenza del diario operatorio nella cartella clinica non consente di stabilire se l’esecuzione dell’intervento chirurgico sia stata imperita. La interessante decisione a commento, pregevole per la disamina degli istituti giuridici, è del Tribunale di Napoli (Tribunale Napoli sez. VIII, 08/02/2022, n.1343).

L’assenza del diario operatorio viene posta ai fini della declaratoria di responsabilità sanitaria in capo alla Struttura e al Ginecologo. La paziente cita in giudizio la ASL Napoli 1 Centro, il Presidio ospedaliero e il Ginecologo, al fine di ottenere il risarcimento del danno quantificato in Euro 170.000,00

Il Tribunale dà atto che la paziente ha fornito la prova del titolo, in forza del quale ha esercitato l’azione risarcitoria nei confronti dei convenuti e che il positivo accertamento della responsabilità della Struttura postuli, pur sempre, la colpa del Medico esecutore dell’attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di colpa, poiché l’art. 1228 c.c. presuppone, comunque, un illecito colpevole dell’autore immediato del danno.

I CTU hanno ritenuto ampiamente giustificato l’intervento di isterectomia e l’assenza di prova secondo il criterio del più probabile della lesione vescicale durante l’intervento.

Dalla relazione dei Consulenti emerge: “La sintomatologia clinica e gli elementi diagnostici ed istopatologici di rischio rilevati prima dell’intervento hanno suggerito un’indicazione terapeutica corretta. Il tipo di intervento proposto alla paziente dai sanitari dell’Ospedale risulta adeguato alle sue condizioni cliniche ed alla sua patologia così come rilevata dalla RCU con esame istologico endometriale. In casi come quello in esame le linee guida prevedono principalmente l’isterectomia extrafasciale con annessiectomia bilaterale. Le opzioni alternative esistenti, specialmente di carattere conservativo, non risultano essere ragionevolmente proponibili nello specifico caso in esame …(..)..  In generale, sebbene l’intervento di isterectomia con annessiectomia bilaterale per via laparotomica faccia parte del normale bagaglio di competenze di un chirurgo ginecologo, non è possibile in astratto quantificarne il grado di difficoltà, né classificarlo come routinario e di facile esecuzione: la complessità varia da caso a caso in relazione alle condizioni locoregionali ed a tutte le possibili variabili anatomiche, ai pregressi interventi o infezioni pelviche, alle eventuali aderenze. Dalle indirette informazioni rilevate in cartella, il caso clinico in esame non sembrava presentare evidenti particolari difficoltà in fase preoperatoria, a parte i problemi dismetabolici e l’eccesso ponderale, e, d’altra parte, non è possibile rilevare o escludere eventuali particolari difficoltà emerse in sede intraoperatoria per l’assenza del diario operatorio, e della descrizione dell’atto operatorio nei documenti a disposizione dei CTU.  L’assenza del diario operatorio e della descrizione dell’atto operatorio nella cartella clinica, descrizione che documentando quanto avvenuto sarebbe potuto essere dirimente, non consente di escludere o accertare in maniera oggettiva un eventuale danno iatrogeno intraoperatorio. È probabile, tuttavia, che una fistola vescico vaginale si possa produrre come complicanza in un secondo tempo, per effetto ad esempio di un processo flogistico acuto (ascesso) iuxta vescicale o di una focale ischemia del detrusore. Sembra che nel nostro caso la sequenza temporale con la quale si manifestò la complicanza (dopo sei giorni rispetto all’intervento e dopo la rimozione del foley) ed i rialzi febbrili dei giorni precedenti l’ematuria, primo possibile segno riferibile alla patologia vescicale poi rivelata, farebbero ipotizzare con maggior probabilità per una fistolizzazione secondaria ad una complicanza flogistica acuta sopraggiunta nell’immediato postoperatorio, più che ad un danno intraoperatorio iatrogeno, che ragionevolmente si sarebbe potuto manifestare con una ematuria più immediata. Nel caso specifico in esame, infatti, con una valutazione ex post, una flogosi perivescicale acuta potrebbe giustificare l’iperpiressia delle prime giornate postoperatorie, fenomeno che può aver generato un focale locus minoris resistentiae che avrebbe ceduto, per effetto della distensione vescicale una volta rimosso il catetere (in terza giornata post operatoria), producendo la soluzione di continuo della parete vescicale. Da quest’ultima lesione vescicale secondaria potrebbe aver avuto origine la fistola vescico vaginale …..  Infine, la paziente, diabetica, già in post menopausa, in discreto compenso metabolico, presenta oggi esiti di isterectomia ed annessiectomia bilaterale ma nessun esito riferibile a precedente danno e chirurgia riparativa eseguita sull’apparato urinario. Non ha mostrato durante l’esame in sede peritale obiettività di incontinenza urinaria rilevabile con l’esame ginecologico: la sintomatologia riferita in anamnesi dalla paziente potrebbe configurare un disturbo minzionale di tipo “urgency” manifestato di recente, che ragionevolmente non è cronologicamente correlato con la storia chirurgica e che può, con tutta probabilità, riconoscere una patogenesi nello stato menopausale, datato da più di 10 anni e che prosegue il suo corso nel tempo, e dalla concomitante sindrome metabolica di cui è affetta.”

In conclusione, non sono emersi elementi atti a dimostrare errori e/o omissioni delle parti convenute in relazione alle cure ed all’assistenza fornita all’attrice, non essendo dirimente l’assenza del diario operatorio all’interno della cartella clinica, difatti hanno precisato i Consulenti che “solo dopo sei giorni dall’intervento si manifestò l’ematuria, che clinicamente rappresenta in genere il primo segno di una lesione vescicale, ma che nei modi e nei tempi in cui si è manifestata non consente nel caso in specie di risalire alla causa del danno se non per via ipotetica.”

Per tali ragioni la domanda attorea viene rigettata (anche sotto il profilo della lesione del diritto all’autodeterminazione).

Avv. Emanuela Foligno

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