I medici curanti dovranno fornire al paziente un certificato con la prognosi e uno diagnostico; quest’ultimo dovrà essere trasmesso dal militare al proprio Comando debitamente sigillato per il rispetto della normativa sulla privacy
E’ entrato in vigore il decreto del Ministero della Difesa, approvato lo scorso 24 novembre, che introduce il sistema del ‘doppio certificato’ in relazione alla certificazione medica del personale militare; ne ha dato comunicazione alla FNOMCeO l’Ispettorato generale della Sanità militare invitando a diffondere in maniera capillare il testo del decreto tra i medici curanti della Federazione.
Infatti, il medico di famiglia o del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero il medico libero professionista possono figurare quali certificatori della condizione di malattia dei militari, al pari del medico della caserma, e sono pertanto invitati a prendere conoscenza della normativa affinché ne possano dare una puntuale applicazione.
Il decreto della Difesa in realtà mette in pratica quanto già stabilito dall’articolo 748 del Testo Unico dell’Ordinamento Militare, emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 15 marzo 2010.
Nello specifico si prevede che in caso di assenza del militare dovuta a malattia o infortunio, il medico, in caserma come in studio convenzionato, che abbia accertato tale condizione dovrà rilasciare al paziente due certificati in carta: un certificato indicante la prognosi e un certificato indicante la diagnosi. Il primo andrà consegnato da parte del militare al Comando del proprio ente di appartenenza, il secondo andrà invece consegnato in busta chiusa al dirigente sanitario dell’ente in cui presta servizio, per il quale la conoscenza della diagnosi risulta indispensabile ai fini della verifica della persistenza dell’idoneità psico-fisica del militare.
Il militare-paziente, entro 5 giorni dall’esordio della condizione motivo di assenza invia al Comando, Distaccamento o reparto un unico plico contenente al suo interno la prognosi più una busta sigillata con la dicitura “contiene dati personali concernenti lo stato di salute e riservati al solo personale sanitario autorizzato” ben visibile su entrambi i lati; il personale del distaccamento formalmente designato provvede all’apertura del plico e trattiene l’attestato recante la sola prognosi.
La busta chiusa viene invece trasmessa al responsabile dell’organo sanitario militare competente in modo che venga rispettata la normativa sulla riservatezza in base alla quale le condizioni cliniche del militare non devono essere rese note all’infuori del personale medico. Il Garante della Privacy, infatti, in una nota dell’8 ottobre 2015, aveva affermato la tassativa separazione del fascicolo prognostico da quello diagnostico per evitare che la diagnosi clinica confluisca nei dati caratteristici o nel fascicolo personale del militare.
Non capisco la ratio di informare tempestivamente della diagnosi il medico militare. La diagnosi viene trasmessa telematicamente in default all’INPS, competente a rifondere le indennità di malattia e super partes nella custodia riservata della diagnosi (gli operatori che consultano l’archivio informatico lasciano traccia) L’ufficiale medico militare, d’altronde, rappresenta il medico competente, di parte, dell’amministrazione militare ed è comunque sua facoltà sottoporre il militare a visita quando il medesimo presenti un certificato di idoneità al s.m.i., a termine della malattia o appresenti la volontà di rientrare in servizio. Le precauzioni nei confronti del militare in regime di malattia esistono già a prescindere dalla diagnosi: il ritiro dell’arma individuale. Il ritiro della tessera militare di appartenenza nei casi gravi di malattia pschica è resa vana dalla concomitanza di altri documenti di riconoscimento personali che attestano comunque la qualità di militare. Per ultimo la procedura cartacea approvata non garantiebbe la riservatezza del militare, in quanto viaggia manualmente, il contenuto della busta sigillata verrebbe aperta e maneggiata da addetti ed infermieri prima di essere visionata dai medici e l’archiviazione del certificato avverrebbe a cura di personale non medico.